I verbali di Silvia contro Ciro Grillo e gli amici: “La vodka, poi stuprata da tutti e quattro”
Genova - Di quell’alba “offuscata” del 17 luglio 2019 in Costa Smeralda, o meglio di quella mattina seguente, ricorda poco o nulla. Annebbiata dall’alcol, da quello che lei, Silvia (nome di fantasia) definisce “beverone”: mix di vodka e forse altro che quattro giovani le hanno fatto bere prima dello stupro di gruppo.
Eppure, la studentessa italo-norvegese di quella notte che le ha stravolto la vita – ma anche alla sua amica milanese Roberta (pure questo nome inventato) e inevitabilmente a Ciro Grillo, figlio del fondatore dei Cinque Stelle, eppoi a Francesco Corsiglia, Edoardo Capitta e Vittorio Lauria - ricorda che la sera prima, alla discoteca Billionaire di Porto Cervo, aveva bevuto sì, era poco lucida, ma “nel momento in cui sono arrivata a casa dei ragazzi... cioè ero un po’ più lucida…». In grado di capire.
Poi il “beverone”, dopo la prima violenza sessuale da parte di Corsiglia: sul letto di una stanza senza porta; poi sotto la doccia. Questo dice lei, mentre lui sostiene che si sia trattato di un rapporto consensuale.
Dalle due udienze del 31 gennaio e primo febbraio scorsi, nel processo a porte chiuse al tribunale di Tempio Pausania, dilaga il racconto drammatico della ragazza. Seppure rievocato dietro un telo nero, a separarla dai banchi degli altri avvocati. In aula rimbombano i ricordi, interrotti dal pianto, non mancano le contraddizioni. Si ripetono, però, le accuse ai 4 giovani genovesi, già denunciate al procuratore capo Gregorio Capasso durante le indagini.
Tutto si svolge nella villetta di Cala di Volpe, in uso alla famiglia Grillo. Il prima e il dopo di quella maledetta estate è proprio il momento in cui la costringono a bere.
«Al gazebo, mi ricordo che appunto ad un certo punto Vittorio ed Edoardo... li ho visti proprio avvicinarsi. Io ero in uno stato… cioè non molto lucido, nel senso che ero tipo persa… un po’ nel vuoto, nel senso che non pensavo a niente».
In quel momento Corsiglia l’avrebbe già stuprata. «Ad un certo punto mi sento tirare per i capelli... e subito dopo mi è stata messa questa bottiglia in bocca... in un solo sorso, ho tipo ingerito una grande quantità di liquido... il gusto e l’odore mi ricordava la vodka… sì, ma aveva un colore strano…». «Chi dei due le ha infilato la bottiglia in bocca?», chiede il presidente del collegio giudicante, Marco Contu. E lei, secca: «Vittorio».
Dopo. «Sentivo la testa molto pesante... ero totalmente frastornata, non capivo niente, ero in uno stato confusionale… cioè mi ricordo solo a tratti…». Le visioni dello stupro, del branco. «Ho perso l’equilibrio quando lui mi ha tirato giù e sono caduta sul letto, sopra di lui... a quel punto loro mi hanno preso».
Lui è Vittorio Lauria. Loro sono gli altri. E’ una frase che Silvia ripete come un disco rotto all’avvocato che la incalza per capire fino a che punto lei sia stata costretta. Mariano Mameli è uno dei 7 difensori degli imputati. Che per loro strategia difensiva in aula rievocano una precedente violenza sessuale da parte di Christian, suo compagno di liceo ad Oslo. Oltre quella in tenda nel 2018 di David Enrique Obando, ventenne di origini nicaraguensi, figlio di un noto politico della Norvegia. Gli avvocati, come contraltare dei racconti sullo choc subito, mostrano in aula le foto di lei sulle riviste patinate, in posa un anno e mezzo dopo lo stupro.
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Silvia di quel 17 luglio 2019 dice: «Ho molti flash... Io mi sentivo che con la testa... cioè che continuavo a perdere l’equilibrio... non sentivo il mio corpo». E ancora i difensori dei quattro imputati: «Cosa vuol dire “non sentivo il mio corpo”?».
E lei: «Non sentivo le gambe, non sentivo più forza a cercarmi di alzare, a cercarmi di divincolare». Silvia singhiozza, il presidente interrompe l’udienza, la studentessa viene confortata dal suo avvocato Dario Romano. Il legale la assiste insieme a Giulia Bongiorno, senatrice della Lega e presidente della Commissione Giustizia a Palazzo Madama.
Dieci minuti dopo si riprende. E la vittima: «C’erano tutti e quattro, sentivo le loro voci, vedevo anche le gambe intorno a me e sentivo numerose mani sul mio corpo... E che si chiamavano per nome tra loro... Ciro e il nome di Francesco, Edoardo».
Per la prima volta Silvia colloca Corsiglia nella stanza dello stupro. Di gruppo. Lui ha sempre sostenuto che non era lì, era andato a dormire dopo il rapporto sessuale “consensuale”. «Poi è successo che ho sentito da dietro i ragazzi che mi hanno presa...». «Presa, cosa intende? - chiede Mameli - L’hanno ...». «No, mi hanno afferrata... ovunque io ho sentito tanti...». La testa? La testa in quel momento gliela teneva qualcuno? «Sì, Vittorio... e la portava verso il suo... ho sentito tante mani sul mio corpo... ovunque... mi tenevano le gambe, poi sono cascata in avanti ed ho avuto un black out. Da quel momento non ho più nessun ricordo».
E, in aula, non ha voluto vedere il video dello stupro, prodotto dai quattro coi loro telefonini.