G7, Biden pretende il sequestro di 330 miliardi di asset russi. Per Meloni sarà la grana più grossa
BRUXELLES — È il dossier da cui dipende il successo o il fallimento del G7 italiano. Quello su cui Joe Biden misurerà l’affidabilità di Giorgia Meloni e della presidenza italiana. La Casa Bianca vuole, anzi pretende che in occasione del summit pugliese venga sancito il via libera all’utilizzo dei trecentotrenta miliardi di euro di fondi sovrani russi attualmente congelati nelle banche europee e americane. Di questi, dettaglio decisivo, oltre duecentodieci riposano negli istituti dell’Europa occidentale. Intende destinarli alla resistenza militare di Kiev e alla ricostruzione del Paese. È una priorità, per il Presidente Usa. La soluzione finanziaria e politica che permetterebbe di spazzare via l’ostruzionismo di Donald Trump.
Lo scongelamento dei fondi russi
L’ha spiegato alla premier, durante il recentissimo bilaterale a Washington. Ed è l’indicazione che la diplomazia americana ha ripetuto con nettezza a Palazzo Chigi anche nelle ultime ore, in modo ultimativo: va bene garantire centralità alle sessioni dedicate all’Africa e alla Cina, stimolante anche ragionare di soluzioni comuni per sconfiggere i trafficanti di uomini e gestire l’intelligenza artificiale, ma l’unico punto dell’agenda da cui dipende la riuscita del vertice di Borgo Egnazia è quello degli asset russi. Soltanto se Roma riuscirà a portare gli alleati europei sulla linea americana, Biden potrà dirsi soddisfatto.
È una grana gigantesca. Per Meloni, un autentico dilemma diplomatico, come dimostra la cronaca degli ultimi due giorni. Mentre gli Stati Uniti premono, l’Europa tentenna. La premier ne ha preso atto ieri, al termine dei lavori del Consiglio europeo. Parigi e Berlino continuano infatti a mostrarsi ostili all’opzione di scongelare l’intero ammontare dei fondi russi. E non sembrano neanche troppo convinti dell’opzione – cavalcata dalla Commissione di Ursula von der Leyen – di utilizzare almeno gli interessi generati dai trecentotrenta miliardi. Si tratta di circa tre miliardi nel 2024, dunque di una cifra contenuta. Ciononostante, le resistenze non mancano neanche rispetto a questo scenario.
La linea di Macron e Scholz, d’altra parte, non è certo improntata alla flessibilità. Anche nelle ultime ore, hanno spiegato ai partner continentali di temere questa misura. Non considerano praticabile attingere al complesso degli asset, adducendo ragioni tecniche e giuridiche, ma prima ancora reputazionali: requisire quelle risorse – sia pure per colpire un regime che si è reso protagonista di una brutale invasione – potrebbe a loro avviso ridurre la credibilità del sistema, spingendo i fondi sovrani arabi, indiani, cinesi e australiani a fuggire dall’area euro. Mosca, infatti, non è l’unica potenza ad aver depositato centinaia di miliardi nelle banche dell’Unione.
Il dilemma di Meloni
Ecco dunque il dilemma di Meloni, confidato a Biden anche durante l’incontro nello Studio Ovale. La premier ha spiegato di non voler rompere l’unità europea sul punto. Ma allo stesso tempo ha promesso il massimo sforzo per provare a portare Parigi e Berlino dalla parte di Washington. La cautela con cui a Bruxelles si affronta la partita dei tre miliardi di interessi dei fondi russi, però, non può che innervosire l’amministrazione Usa. E le mosse con cui Putin prova a incunearsi tra i tentennamenti europei rende il quadro ancora più instabile.
È questo, forse, il punto più delicato dell’intera partita. Appena saputo dell’opzione continentale di utilizzare gli extraprofitti generati dai rubli, il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov ha subito minacciato: ci saranno «conseguenze molto serie per coloro che hanno preso tali decisioni e per coloro che le applicano». E ancora: «Abbiamo sentito dichiarazioni da Bruxelles che i proventi dei capitali non appartengono a nessuno: non è vero, appartengono ai proprietari dei capitali». Un segnale chiaro ai principali leader europei, l’avvertimento di non cedere al pressing americano. Tocca a Meloni costruire in poco più di due mesi una soluzione. Da Presidente del G7. Con il rischio concreto che il summit deragli.