Toti prepara la difesa per l'interrogatorio (dopo nove giorni di silenzio): «Non ho commesso reati»
Il governatore (sospeso) della Liguria ancora agli arresti: davanti ai pm il 27 o il 28 maggio. Ma lui avrebbe preferito tempi più rapidi
DAL NOSTRO INVIATO
GENOVA - «Al netto delle solite polemiche di chi rema contro la realizzazione di ogni infrastruttura, noi andiamo avanti spediti, anticipando le risorse necessarie». Era il 18 aprile. Un mese fa, ma sembra una vita. Giovanni Toti prendeva parte al Consiglio regionale, ancora non sapeva che sarebbe stato l’ultimo, perché era una seduta importante. La giunta aveva deliberato l’anticipo di un contributo da 57 milioni di euro all’Autorità portuale, che avrebbe utilizzato quello cospicua somma «per garantire la completa copertura finanziaria» del secondo lotto della nuova diga foranea. Martedì prossimo dovrebbe essere messo ai voti il provvedimento, ma il condizionale è d’obbligo.
Tutti dipendono ancora da Toti, in qualche modo. Da quello che dirà e che farà un uomo impossibilitato a comunicare con l’esterno da ormai nove giorni, il cui destino non dipende più dall’attualità politica ma sta ormai prendendo il piano inclinato dalla cronaca giudiziaria. L’interrogatorio del presidente della Regione Liguria si terrà verosimilmente il 27 o il 28 maggio. Sono le due date che la procura genovese ha cerchiato in rosso all’avvocato Stefano Savi, che difende il governatore e ieri ha ribadito la versione del suo assistito e la linea che intende tenere. «Non ho commesso alcun reato», dice Toti, che ripete, come ha fatto fin dal primo giorno, di non avere alcuna intenzione di dimettersi, per poi aggiungere che ora pensa solo ad arrivare «preparato» al confronto con i magistrati. Fino a qui, siamo nel solco dell’ufficialità, o quasi. La verità è che Toti avrebbe preferito tempi più rapidi per presentarsi in procura, rispondere alle domande degli inquirenti e chiedere, in base all’esito dell’incontro, la revoca della misura cautelare. Ma la scelta della data non era più nella sua disponibilità dal momento in cui si era avvalso della facoltà di non rispondere all’interrogatorio di garanzia seguito al suo arresto.
La procura ha quindi imposto i propri ritmi, che prevedono il completamento delle audizioni di tutte le persone indagate e dei testimoni più importanti. Tra i quali figura anche il sindaco di Genova, Marco Bucci. È uno snodo molto delicato, per tutte le parti in causa. L’audizione della figura istituzionale con la quale ha maggiormente collaborato negli ultimi anni, potrebbe avere un impatto sulla posizione di Toti. I magistrati si stanno chiedendo se sentire Bucci prima o dopo il presidente della Regione Liguria. Toti tenterà di chiarire gli addebiti, sostenendo di non avere agito «a senso unico» per favorire Aldo Spinelli, ma di esser stato a suo modo «vittima» della sua tecnica «martellante». Chiedere sempre, di tutto.
Secondo la difesa, le rassicurazioni di Toti erano vaghe promesse, spesso irrealizzabili, fatte al fine di silenziare l’imprenditore. Sul celebre Terminal Rinfuse, sosterrà che la concessione di trent’anni sarebbe rimasta sulla carta, perché la costruzione della diga foranea avrebbe comunque messo in discussione l’esistenza di uno spazio dedicato alle merci da stiva, che sarebbe poi stato trasferito a Savona. Farsi sentire dai magistrati, ammorbidire la propria posizione, ottenere da loro un parere positivo alla revoca della custodia cautelare, e presentare così al giudice una istanza di scarcerazione.
La strategia giudiziaria è chiara. Quella politica rimane una incognita. L’ipotesi di un «patto» con la procura su eventuali dimissioni da rendere dopo l’interrogatorio è solo un auspicio fatto da una macchina istituzionale in stallo. Non ci saranno «aiutini» in tal senso. Toti deciderà il proprio destino dopo aver parlato con i suoi alleati. Ma al tempo stesso, appare chiaro anche alla sua stessa maggioranza che un uomo reduce da almeno venti giorni agli arresti, indagato per reati molto gravi, non può riprendere le proprie funzioni come se niente fosse. E il voto su quei 57 milioni di euro destinati a una diga foranea della quale il presidente sosteneva nelle intercettazioni che fosse «sostanzialmente per Spinelli», è una responsabilità che in pochi hanno voglia di prendersi.
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