
Gaza, Oscar Camps: “Cessate il fuoco unica soluzione. Ma per la gente che muore di fame bisogna fare qualcosa ora”. In preparazione una nuova spedizione
“Di fronte a due milioni di persone alla fame, noi abbiamo deciso di dare una mano. E continueremo a farlo. Stiamo già allestendo un altro carico da 400 tonnellate di cibo”. Il fondatore di Open Arms, Oscar Camps è da poco tornato al porto cipriota di Larnaca, dopo aver consegnato il primo carico di aiuti via mare che abbia raggiunto il Nord di Gaza, dove i raid israeliani continuano anche sugli ospedali e neanche i convogli umanitari riescono ad arrivare. “La situazione – mormora - è inimmaginabile”. Insieme ai veterani della ong, anche lui ha voluto essere a bordo della nave “per una delle missioni più a rischio di sempre, fino all’ultimo momento ha rischiato di saltare”.
Come è nata quest’iniziativa?
“A fine dicembre ho ricevuto una telefonata dallo chef José Andrés di World central kitchen. Il giorno prima, era il 20 dicembre, il ministro degli Esteri israeliano Eli Cohen, in visita a Cipro, aveva annunciato che dal porto di Larnaca sarebbe stato inaugurato un corridoio umanitario marittimo per Gaza. Abbiamo detto: “Facciamo qualcosa”. E abbiamo iniziato a lavorare.
Perché aprire un corridoio marittimo se esistono vie di terra?
“Open Arms non ha camion, ha una nave. E di fronte all’attuale catastrofe credo che sia non solo auspicabile, ma anche necessario utilizzare ogni mezzo disponibile per portare aiuti: camion, aerei, navi. Ci sono più di due milioni di persone che stanno morendo di fame”.

C’è chi contesta che sia una via molto dispendiosa e poco efficace
“Se proprio vogliamo, in realtà la maggior parte del commercio mondiale avviene via mare. Ma la questione centrale qui è far entrare aiuti con qualunque mezzo per una popolazione intera che ne ha bisogno. Credo che ognuno abbia l’obbligo morale di fare qualsiasi cosa sia necessaria. I valichi funzionano a singhiozzo, c’è un corridoio marittimo, usiamolo. Israele non ha certo bisogno di Open Arms per fare quello che vuole”.
È una soluzione?
“Siamo consapevoli che si tratta di una toppa. L’unica soluzione è il cessate il fuoco, lo stop alla vendita di armi a Israele perché termini questa offensiva e l’apertura di tutte le vie di accesso a Gaza, via terra, via mare, via aria. Lavoriamo per la pace, ma nel frattempo è urgente fare qualcosa. Anche nel Mediterraneo toccherebbe all’Unione Europea garantire una missione di soccorso, ma non c’è. Quindi che facciamo? Lasciamo la gente a morire o proviamo a fare il possibile con i nostri mezzi? Grazie a quella spedizione, oggi a Gaza City c’è gente che mangia un pasto caldo”
È stato complicato organizzare la missione?
“Abbiamo dovuto chiedere autorizzazioni e sottoporci a ispezioni a Cipro, siamo stati settimane a Larnaca in attesa. Il lavoro diplomatico lo ha fatto World Central Kitchen che ha 300 persone che lavorano dentro la Striscia. E sono stati anche bombardati. L’ong di José Andrés ha lavorato con Emirati, Giordania, Cipro fin quando da Israele non sono arrivati i permessi. Ma fino all’ultimo la missione ha rischiato di saltare”.
Per quale motivo?
“Quando siamo arrivati nei pressi di Gaza abbiamo ricevuto una comunicazione dall’Idf: ‘Da questo momento procedete sotto la vostra responsabilità’. Traduzione, ‘Non possiamo garantire per la vostra sicurezza’. Da lontano vedevamo i bombardamenti in corso. Abbiamo fatto una breve riunione e abbiamo deciso di proseguire. Consegnare quel cibo era prioritario”.
Cosa ha visto quando la Open si è avvicinata a Gaza?
“Una catastrofe difficile da descrivere. È tutto in macerie. Mentre scaricavamo le casse vedevamo alcuni aerei lanciare aiuti e altri lanciare bombe, colonne di fumo che si alzavano, si sentivano i boati delle esplosioni”.
Che impressione le ha fatto?
“Non siamo stati autorizzati a scendere dalle lance, abbiamo solo potuto spingere la zattera fino al molo che Wck ha messo su in cinque giorni. Credo non sia neanche possibile immaginare cosa significhi vivere lì. La gente ormai mangia cibo per animali e l’erba dei campi pur di sfamarsi. Per questo io ribadisco: c’è un corridoio umanitario marittimo aperto, non è la soluzione ottimale, ma utilizziamola. Le discussioni facciamole dopo”.
Un auspicio?
“Il porto di Larnaca dovrebbe essere il punto di partenza di centinaia di navi cariche di aiuti. L’unico problema è logistico perché il fondale è basso e non c’è un porto, ma se lo abbiamo risolto noi che non contiamo niente e abbiamo una nave vecchia di cinquant’anni, possono farlo di certo anche le organizzazioni più grandi e importanti”.