
A Gaza anche gli operatori delle ong senza cibo e acqua: “Ci nutriamo di mangime per uccelli e per asini”
Niente acqua, niente cibo, niente elettricità. Niente connessione e possibilità di comunicare con il resto del mondo. Niente spazio neanche per feriti e malati, che per letto si devono accontentare del pavimento. “Qui la situazione è catastrofica”. Loay Harby, infermiere di Medici senza frontiere nella clinica che l’ong manda ancora avanti nel Nord di Gaza, sembra aver finito anche gli aggettivi. “Non abbiamo elettricità, acqua e connessione e questo crea una situazione di estrema instabilità per la gente di qui. Non abbiamo farina e non abbiamo modo di comunicare con il mondo”.
Il primo carico di aiuti via mare per la città alla fame
“Qui” significa a Gaza City, nel Nord della Striscia da mesi ormai tagliata fuori anche dalle rotte dei convogli umanitari, mentre le operazioni dell’esercito israeliano continuano. Sulla spiaggia deserta della città ieri le lance della nave umanitaria Open Arms hanno rimorchiato una zattera carica di 200 tonnellate di cibo e aiuti messi insieme dall’ong spagnola World Central Kitchen. È il primo carico arrivato via mare, “ma a Larnaca stiamo già preparando un’altra spedizione”, annuncia José Andrés. Sul molo costruito in pochi giorni, una piccola gru mobile ha prelevato dalla zattera casse e casse di cibo e le ha depositate su dodici camion, che li consegneranno ai team dell’ong che quotidianamente preparano pasti nelle cucine da campo nel Nord della Striscia. Ma sono gocce nel mare.

Pazienti anche sul pavimento
“Stiamo attraversando momenti molto difficili, a causa dell'assedio, della povertà e della fame”, spiega l’infermiere di Msf. Dell’ong a Gaza City sono rimasti in quattro. Oltre che in clinica, Loay e un collega quotidianamente danno una mano da volontari anche all’ospedale di Al Shifa, più volte finito al centro dei raid israeliani. Le immagini che con difficoltà è riuscito a inviare ai colleghi che stanno fuori dalla Striscia sono da girone dantesco.
Pazienti accasciati sulle sedie che un tempo servivano per i pazienti in attesa, a terra, su barelle improvvisate in stanzoni stracolmi di feriti. “Nell'ospedale ci sono anche tantissimi sfollati, il che rende ancora più difficile il nostro lavoro. Alcuni pazienti vengono messi sul pavimento. Non ci sono abbastanza letti e spazi per accoglierli tutti”.

Sempre che riescano ad arrivare. Gaza City è una città di macerie, le immagini che invia mostrano case e strade sventrate, edifici anneriti e bucati dai bombardamenti che li hanno colpiti. In mezzo, gente che prova a sopravvivere. “Ancora arrivano pazienti con ustioni e ferite di guerra – racconta Harby – forniamo loro assistenza sanitaria di base con le capacità minime che abbiamo qui”. Le strade – spiega l’infermiere di Msf – sono distrutte, spostarsi è pericoloso. Infezioni e complicazioni di ferite trattate spesso si devono a questo. Nella clinica di Medici senza frontiere provano a metterci una toppa: “Preparo per i pazienti dei kit di medicazione e spiego loro come cambiarli regolarmente”.

Farina a 33 euro al chilo, solo il cibo per animali a prezzi accessibili
Anche per lo staff la vita è complicata. “Cinque volte più difficile”, prova a misurarla Suhail Habib, un altro degli altri quattro operatori Msf rimasti a Nord. “Non riusciamo a trovare la farina perché l’esercito israeliano l’ha bloccata. Siamo costretti a mangiare cibo per animali per sopravvivere. A volte mangiamo mangime per uccelli e asini e a volte l’erba che raccogliamo agli angoli delle strade”. Sono gli unici alimenti a prezzo non inaccessibile che sia possibile acquistare, anche se – spiegano dal Nord della Striscia – anche quello inizia ad essere troppo costoso. Soprattutto quello per cani. È carne o almeno ci assomiglia.
“Ogni giorno – spiega Habib – torno a casa a mani vuote, senza cibo, senza farina, senza pane, senza riso. Oggi un chilo di riso costa 33 dollari, perciò non riesco a sfamare i miei figli”.