Al confine tra Guatemala e Messico, dove Biden vuole fermare i migranti:«Nella selva sentiamo l'odore della morte»

diSara Gandolfi

Al «passaggio del Coyote», sul fiume Suchiate, dove ogni giorno passano 5.000 persone che sperano di raggiungere il Sogno americano. Il progetto Avsi per proteggere i bambini

Il reportage/ Al confine tra Guatemala e Messico, dove Biden vuole fermare i migranti

Al "passo del Coyote", Ciudad Hidalgo (foto di Rossana Stanchi/Avsi)

DALLA NOSTRA INVIATA
Duy Sierra se ne sta sulla sponda del fiume con le braccia incrociate, il pigiamino con gli orsetti ormai stinti e lo sguardo di una ragazzina di quindici anni che ne ha viste troppe, eppure finge di non avere paura. «Ho sentito l’odore di morte nella selva, mi hanno palpeggiato, mi hanno derubato, mi hanno detto cose sconce, ma non mi arrendo, di notte dormo là sopra e guai a chi mi tocca», dice indicando l’unica pedana di legno sopra il pietrisco. Dormire tranquilli ha il suo prezzo, come tutto qui. Il «proprietario» della zona, semi-addormentato su un’amaca, è uomo di qualche cartello della droga. Siamo al «passaggio del Coyote» di Ciudad Hidalgo, su una delle frontiere più pericolose del mondo, tra Messico e Guatemala. 

Sul ponte Rodolfo Robles, confine ufficiale, è un mezzogiorno tutt’altro che di fuoco. I militari della Guardia nazionale ammazzano il tempo smangiucchiando un mango mentre una manciata di motorini va e viene tra una sbarra e l’altra. 

È sotto e intorno al ponte, sul fiume Suchiate, che la vita scorre frenetica. A destra, si spostano mercanzie di ogni genere su zattere fatte di pneumatici e assi di legno. A sinistra, le merci sono persone, uomini, donne e tanti bambini. Salvadoregni, guatemaltechi, nicaraguensi, cubani, venezuelani, ecuadoriani, haitiani, africani, asiatici. Ogni giorno ne passano 5000. L’intera vita dentro piccoli zaini consunti dalla fatica del viaggio. 

I barcaioli (i «coyote») come Caronti all’inverso portano dall’inferno verso la speranza per 600 pesos messicani, circa 35 euro. Chi non ha più soldi guada il fiume, l’acqua sporca fino alla vita e lo zaino in testa, mentre i bambini provano a fare i bambini e si tuffano per giocare.

Il 90% si ostina a salire fino a Sonora o Chihuahua per passare l’ultima frontiera , quella tra Messico e Stati Uniti, che li separa dal Sogno americano, anche se il presidente Usa Joe Biden, per tentare di controllare il flusso a pochi mesi dalle elezioni, ha appena firmato un ordine esecutivo che limita l’ingresso a 2.500 migranti al giorno. Superata la soglia, chi entra illegalmente può essere rispedito a casa. Durante la pandemia il presidente messicano Andrés Manuel López Obrador, detto Amlo, accettò di accogliere 30mila immigrati deportati dagli Stati Uniti con il programma Quedate en Mexico (resta in Messico). Anche stavolta, pare che Biden si sia consultato con il collega. 

Quel 10% che, per stanchezza, per paura, per mancanza di soldi, si registra appena passato il confine sud come richiedente asilo in Messico, entra invece nella rotta istituzionale, sotto l’ala protettrice dell’Agenzia dell’Onu per i rifugiati (Unhcr), che nella città di Tapachula gestisce un efficiente Centro di attenzione dove ogni giorno passano 500-600 migranti. Qualche mese d’attesa, i più fortunati nel rifugio modello «Hospitalidad & Solidaridad», con scuola, infermeria e cibo per tutti. E se la richiesta è accolta - in media, il 65% ottiene l’asilo – si viene ricollocati in altre zone del Messico. 

«Da Paese di transito, è diventato anche Paese di destino e integrazione», spiega Giovanni Lepri, rappresentante in Messico di Unhcr. «Negli ultimi anni, ha ricevuto oltre 100.000 richieste di asilo all’anno, da più di cento nazionalità diverse». Il vicino del Sud si è così trasformato in un muro più efficiente di quello innalzato da Clinton e Trump. Biden ora chiede a López Obrador di arginare le carovane di migranti già alle porte del Guatemala. Il Messico in cambio vuole investimenti per miliardi e la legalizzazione di almeno 10 milioni di immigrati ispanici già residenti in Usa. Un tema caldissimo per la neo-eletta presidente Claudia Sheinbaum

Il reportage/ Al confine tra Guatemala e Messico, dove Biden vuole fermare i migranti

Al «paso del Coyote» la venezuelana Maria Rodriguez cucina riso e verdure in un tegame sull’erba, tra cani randagi che si contendono il nulla e neonati seminudi che gattonano nel fango. Ha pagato mille dollari per arrivare fin qui, vuole riunirsi alla famiglia in Texas: «Mi hanno avvertito: “dopo le zattere tieniti forte che inizia il terrore”. Aspetto che ci chiamino per salire sui camion del governo messicano, c’è gente bloccata qui da un mese. Mi fa paura restare e mi fa paura andare avanti». I pullman sono un’idea del presidente Amlo per decongestionare la frontiera: portano i migranti fino a Tuxla Gutierrez, 400 chilometri più a nord, dove distribuiscono un foglietto con scritto «Hai 10 giorni per regolarizzarti». Nessuno lo fa. 

Da lì in poi non c’è percorso sicuro, che sia sul tetto della Bestia, il treno merci della morte, o nei furgoncini dei «polleros», i mercanti d’uomini. 
Dopo la giungla di Darien, tra Colombia a Panama, dopo i ricatti e le estorsioni di delinquenti e guardie corrotte, chi vuole salire fino agli Usa deve ora attraversare gli oltre 3.000 chilometri del Messico, costellati di trappole e gestiti in gran parte dai cartelli della droga - Sinaloa, Jalisco Nueva Generación, le mafie regionali – che si contendono il ricco business del migrante. L’ecuadoriana Fernanda, 30 anni, non si ferma. Tre settimane per strada con i tre figli, in bus, a piedi, in taxi, perfino sulle piroghe: «Una volta ci hanno abbandonato in mezzo al nulla, dopo che avevo già pagato il passaggio, ma almeno nessuno mi ha stuprato». Sa che il peggio deve ancora venire, in rifugi che hanno poco da spartire con quello dell’Unhcr. 

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Foto di Rossana Stanchi /Avsi

I più vulnerabili sono donne e bambini. La Fondazione italiana Avsi lavora da tempo con i migranti. «Abbiamo iniziato con il progetto Inclusion Digna, finanziato dall’Unione europea, sulla rotta migratoria del Pacifico», spiega Rossana Stanchi responsabile Avsi in Messico.  «Abbiamo osservato i movimenti, intervistato i minori e i genitori, quindi abbiamo sviluppato un modello educativo che tenta di essere un anello di collegamento tra il nulla del migrante e la normalità, attraverso l’apprendimento e il gioco. Abbiamo attrezzato i rifugi di Oaxaca e Guadalajara con uno spazio ludico adeguato». A novembre è iniziato il progetto «Juntos», finanziato dalla Commissione per le adozioni internazionali del governo italiano, per trasferire questi modelli anche in Chiapas e Tabasco, in quattro rifugi, cui forniscono anche i kit educativi. «Formiamo anche i funzionari statali perché il tema dei diritti e della sensibilità va affrontato dall’alto», spiega Stanchi. «Vogliamo creare una rete di protezione per i bambini». 

Bambini che rischiano la vita insieme ai genitori. Mayte e Miguel, 24 e 27 anni, sono scappati in fretta e furia con i loro due figli da San Pedro Sula, in Honduras perché minacciati dal killer di uno zio. «Abbiamo speso tutto quello che avevamo per arrivare fin qui. Molta gente ci ha aiutato lungo il percorso quando capivano che non avevamo soldi né nulla. Ma arrivati in Messico un tizio ci ha rubato tutto, l’ho denunciato e ora minaccia di uccidermi e la polizia non lo arresta», spiega il papà mentre la mamma mostra un sacchetto con dentro poco più di un cucchiaio di latte in polvere. «È tutto quello che mi resta per nutrire il mio bebé. Il mio sogno? Dimenticare tutto e non avere più paura», piange lei.

13 giugno 2024 ( modifica il 13 giugno 2024 | 13:41)

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