Resurrezioni digitali cinesi e una ricca cena trumpiana America-Cina del 5 aprile

America-Cina Il Punto | La newsletter del Corriere della Sera
testata
Venerdì 5 aprile 2024
Nuovi varchi per gli aiuti a Gaza | Il grafomane Kim | Fantasmi digitali cinesi
editorialista di simone sabattini

Buongiorno,
Joe Biden ha alzato la voce (almeno metaforicamente) al telefono con Benjamin Netanyahu e qualche risultato pare essere arrivato: Israele ha annunciato l’uso del porto di Ashdod e la riapertura del valico di Erez — di cui oggi ci racconta la storia Francesco Battistini — per far passare più aiuti. Ma poco fa è arrivata anche la notizia dei primi risultati dell’indagine sull’operato dell’esercito: l’uccisione di 7 cooperanti di World Central Kitchen, avvenuta lunedì nella striscia di Gaza, è stata una «grave violazione» della procedura e due alti ufficiali sono stati licenziati. Un secondo cessate il fuoco (dopo quello di dicembre) non è ancora maturo: ma il viaggio del capo della Cia Bill Burns al Cairo potrebbe essere un segnale importante. Qui gli aggiornamenti sul conflitto.

Ruota intorno alle conseguenze della guerra in Medio Oriente anche il nuovo capitolo di «Questa è l’Europa», la serie di reportage e podcast dai Paesi dell’Unione che qui alla Redazione Esteri stiamo realizzando lungo la strada che ci porterà alle elezioni di giugno. Oggi: Parigi e il nuovo antisemitismo, con Stefano Montefiori.

Racconteremo anche di facoltose cene trumpiane, di fantasmi «resuscitati» con l’intelligenza artificiale cinese, della passione di Kim Jong-un per le lettere scritte a mano (a un ristretto circolo di dittatori), di una coraggiosa telenovela siriana, di una piccola-grande svolta sociale giapponese, di Mc Donald’s e del Canada capitale dei furti d’auto.

Buona lettura!



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1. Le promesse israeliane per gli aiuti, la cautela e le condizioni di Washington
editorialista
di viviana mazza
corrispondente da New York

imageIl presidente americano Joe Biden ha posto condizioni a Netanyahu (Epa)

«Accogliamo con favore i passi annunciati stasera dal governo israeliano su richiesta del presidente, dopo la sua telefonata con Netanyahu — dice la portavoce del consiglio di sicurezza nazionale della Casa Bianca Adrienne Watson in una nota diffusa nella notte — Questi passi, incluso un impegno ad aprire il porto di Ashdod per le consegne di assistenza diretta a Gaza, di aprire il valico di Erez per una nuova via all’assistenza per il nord di Gaza, e di aumentare in modo significativo le consegne dalla Giordania direttamente a Gaza, devono essere ora applicati pienamente e rapidamente». La nota ribadisce che, come dichiarato da Biden a Netanyahu e poi ieri anche dal segretario di Stato Usa Antony Blinken, «la politica degli Stati Uniti rispetto a Israele sarà determinata dalla nostra valutazione delle azioni immediate su questi e altri passi, inclusi quelli per proteggere i civili innocenti e la sicurezza degli operatori umanitari».

  • Ieri in un’intervista il senatore Chris Coons del Delaware, un alleato di vecchia data di Biden, ha detto che «a questo punto, se Netanyahu ordinasse alle forze armate di invadere la città di Rafah senza consentire gli aiuti umanitari, voterei per porre delle condizioni agli aiuti a Israele».
  • Intanto traspare dalla Nbc che durante l’incontro virtuale di lunedì scorso tra israeliani e americani, quando questi ultimi hanno sollevato obiezioni al piano per l’invasione di Rafah, il ministro degli affari strategici dello Stato ebraico Ron Dermer avrebbe alzato la voce nel difendere il piano, mentre il consigliere per la sicurezza nazionale Jake Sullivan e il segretario di Stato Antony Blinken sono rimasti calmi.
  • Il piano presentato da Israele prevede di spostare 1,4 milioni di civili nelle prossime settimane in tende nel nord della città, ma secondo fonti americane non include previsioni per la gestione dell’acqua o del cibo né delle necessità sanitarie e gli americani non lo ritengono realistico. Fonti israeliane hanno obiettato che l’articolo di Nbc non rispecchia la realtà: l’incontro, dicono, «è stato costruttivo».
  • Nel frattempo anche i toni di Trump si sono fatti più duri su Israele. Per la seconda volta in due settimane giovedì l’ex presidente e candidato alla Casa Bianca ha dichiarato che Israele sta «perdendo la guerra delle pubbliche relazioni» nella gestione della guerra per via delle immagini — pubblicate dalle stesse autorità israeliane — che mostrano la distruzione di Gaza. «E la gente immagina che ci fossero molte persone in quegli edifici, ed è una cosa che non piace».
  • Dopo il 7 ottobre Trump aveva dichiarato che Netanyahu si era fatto cogliere impreparato e aveva definito «molto furbo» l’Hezbollah. Allo stesso tempo, Trump ha detto però che Israele «deve finire ciò che ha iniziato e andare avanti». L’intervistatore gli ha chiesto due volte di confermare che l’ex presidente che spostò l’ambasciata americana a Gerusalemme «resta ancora al 100% con Israele», ma lui Trump ha evitato di rispondere direttamente alla domanda, probabilmente perché consapevole delle difficoltà di Biden con una parte del suo elettorato e convinto che essere in qualche modo vago possa aiutarlo.
2. Storia del valico di Erez, termometro delle tensioni
editorialista
di Francesco battistini

imageIl valico di Erez dopo il 7 ottobre, in una foto Getty del 2 gennaio scorso

Aprite Erez, chiudete Erez. Prima del 7 ottobre, oltre ai tunnel scavati da Hamas, c’erano solo due modi per entrare e uscire da Gaza: il valico di Erez, a nord, al confine con Israele; quello di Rafah, a sud, verso l’Egitto. Altri due passaggi, Karni e Kerem Shalom, funzionavano a singhiozzo. Erez è sempre stato l’ingresso principale della prigione a cielo aperto. La porta dell’inferno. Il termometro delle tensioni: bastava un attentato a Tel Aviv o una sassaiola sulla Spianata delle moschee, perché venisse sbarrato a tempo indeterminato. E se per caso ti trovavi dentro la Striscia, ciao: dentro restavi, e per chissà quanto.

  • È un enorme hangar di 35mila metri quadrati, costruito dagli israeliani nel 2007, subito dopo l’avvento di Hamas. Sembra il check-in d’un aeroporto, costo 60 milioni di dollari. Coi metal detector, gli scanner per i bagagli, otto-controlli-otto, gli interrogatori, le perquisizioni, le guardie di frontiera ben protette da vetri blindati che ti gridano al microfono il da farsi, i corridoi di passaggio da percorrere dentro una specie di gabbia.
  • C’è perfino la stanzetta dei kamikaze: se sospettano qualcosa, ti c’infilano dentro e devi spogliarti di tutto, ma proprio di tutto, una grata al posto del pavimento e sotto di te una grande fossa, con un poliziotto che spiega come quella buca serva a «fare decompressione in caso d’esplosione». Un giornalista fu tenuto lì dentro un’ora, in mutande, perché ai raggi X risultavano presenze metalliche: era il frammento del blister d’una medicina, che gli era rimasto appiccicato sulla pelle.
  • Da Erez, gli israeliani han sempre lasciato passare solo i diplomatici, le ong, i media, gli aiuti essenziali: vietati vetro, cemento, ferro e un elenco d’un centinaio di materiali da costruzione buoni, in realtà, per fabbricare anche i razzi.
  • Naturalmente, col contagocce, di lì passavano anche i palestinesi. «Capacità di gestire 45mila persone al giorno», dicono le autorità di frontiera: in realtà, per il valico di Erez ne son sempre passate poche centinaia, perlopiù malati e commercianti con autorizzazioni speciali. Numerose, le denunce di soprusi: permessi negati a bambini che dovevano andare in Israele per la chemioterapia, donne respinte per piccole irregolarità burocratiche.
  • Qualche anno fa, un giornale arabo scrisse che a molti palestinesi veniva offerto il diritto di transito in cambio d’informazioni ai servizi segreti israeliani. Tanta attenzione alla sicurezza proveniva da rischi reali: prima che venisse costruito l’hangar, più volte gli attentatori suicidi erano riusciti a beffare la sicurezza, scavallando il confine. Una mattina perfino Jimmy Carter, l’ex presidente americano entrato nella Striscia per negoziare, proprio a Erez rischiò di saltare per aria in un attentato d’un gruppo salafita.
  • Il giorno del massacro nei kibbutz, il valico è stato completamente devastato dalla furia dei combattimenti, dai miliziani di Hamas e pure dalla rabbia dei palestinesi. Prima che venisse riaperto, lo Shin Bet aveva ipotizzato d’isolarlo con una zona cuscinetto d’almeno due chilometri. Una terra di nessuno. Dove nessuno, da sei mesi, ormai vive più.
QUESTA È L’EUROPA
La guerra in casa/2: la nuova stagione dell’antisemitismo a Parigi
editorialista
di stefano montefiori
corrispondente da Parigi

Non dobbiamo importare la guerra del Medio Oriente in casa nostra. È la preoccupazione che attraversa molti Paesi occidentali e soprattutto la Francia, dopo l’attacco dei terroristi di Hamas il 7 ottobre e la risposta di Israele su Gaza. I manifesti degli ostaggi israeliani vengono strappati in tutta Europa, i cortei pro-Palestina attraversano Parigi come Londra o Roma, le università sono terreno di scontro da Pisa a Sciences Po, ma il caso francese è speciale innanzitutto per la sua popolazione: la Francia ha la più numerosa comunità musulmana d’Europa, circa sei milioni e mezzo di persone, e anche la comunità ebraica più importante, mezzo milione di cittadini. Poi, c’è un precedente: quando Israele invase Gaza nell’estate 2014 in Francia ci furono moti di piazza e incidenti, in particolare a Sarcelles, la «piccola Gerusalemme» alle porte di Parigi dove gli abitanti di origine arabo-musulmana sono ormai la maggioranza.

imageManifesti con i volti degli ostaggi israeliani strappati a Parigi (foto Pietro Masturzo/Prospekt)

L’allarme terrorismo è stato portato al suo livello massimo, anche in previsione dei Giochi olimpici e della cerimonia di inaugurazione del prossimo 26 luglio. Ma al di là di nuovi possibili attentati islamisti, l’attacco di Hamas ha già avuto ripercussioni concrete in Francia, con l’esplosione degli atti di antisemitismo. Dal 7 ottobre, secondo i dati del ministero dell’Interno, questi atti sono aumentati del 1.000 per cento, per un totale di 1.676 episodi nel 2023. «E non parliamo solo di vandalismo, svastiche o scritte antisemite sui muri — dice Élie Korchia, presidente del Concistoro centrale israelita di Francia —. La metà riguardano persone, cioè ebrei che sono stati insultati, minacciati o colpiti solo perché ebrei»...

Continua a leggere il web-reportage su Corriere.it

Qui il podcast di Alessandra Coppola, Stefano Montefiori, Federico Thoman

E qui la prima parte dell’episodio, da Praga

3. Taccuino mediorientale: ordigni nei regali e terroristi in trasferta
editorialista
di guido olimpio

imageLa scena dell’attentato che ha uccisio Abu Maria al Qahtani

  • Intrighi. Abu Maria al Qahtani, ex qaedista, militante di spicco della fazione estremista siriana HTS, è stato ucciso a Sarmada in un attentato durante l’iftar, la cena alla fine della giornata di digiuno prevista dal Ramadan. Il guerrigliero, dopo aver combattuto contro gli Usa in Iraq, è passato in Siria per unirsi alla resistenza anti-Assad ed è stato tra i fondatori di al Nusra (in seguito diventata HTS). Nel 2023 è stato arrestato dai suoi compagni che lo hanno accusato di collusione con gli americani ed in seguito rilasciato. Chi lo ha eliminato? Lo Stato Islamico, sempre più attivo, oppure i dissidenti di Hurras al Din, pattuglia qaedista rivale di HTS. Ovviamente, non si escludono neppure regolamenti di conti interni. Due versioni sull’attacco: azione suicida, ordigno nascosto in un regalo.
  • Terrorismo. Alla Vigilia di Natale un’indagine condotta in Germania e Olanda ha portato all’arresto di una cellula composta da mediorientali legata ad Hamas, elementi collegati ad un referente in Libano e forse pronti a compiere attacchi. Ora si è scoperto che avevano un deposito di armi in Bulgaria.
  • Diplomatico e spia. Il direttore della Cia, William Burns, «corre» da una crisi all’altra: secondo le fonti ufficiali sarà al Cairo — e chissà dove — per i negoziati su tregua-ostaggi-Gaza. Una dozzina di giorni fa era in America Latina (Argentina, Brasile, Guyana) mentre la sua agenzia è assorbita dal conflitto ucraino e quello in Mar Rosso. È normale che sia così, la differenza rispetto al passato però è la maggiore pubblicità data alle sue missioni.
4. Indovina chi viene alla cena più ricca?
editorialista
di massimo gaggi
da New York

imageDonald Trump e John Paulson a un banchetto dell’Economic Club di New York nel 2016 (Getty)

Domani sera a Palm Beach, a casa del miliardario John Paulson (aspirante ministro del Tesoro di un’eventuale, futura Amministrazione Trump), grande cena elettorale per super-ricchi: 814.600 dollari per sedersi allo stesso tavolo di The Donald. Chi preferirà risparmiare, accettando di essere confinato nei tavoli periferici, dovrà comunque sborsare almeno 250 mila dollari. I pochi, ma molto generosi, del tavolo presidenziale riceveranno come bonus anche una foto con Trump e un libro illustrato col suo autografo.

  • A novembre Trump e Biden si daranno battaglia all’ultimo voto, ma per ora la sfida è a chi porta a casa più soldi con le cene elettorali. Il leader repubblicano sarà pure in testa nei sondaggi, ma al momento perde alla grande il confronto sui soldi che per lui sono importanti quanto i voti (e, forse, di più). A fine marzo Joe Biden aveva in cassa 155 milioni mentre Trump, costretto a spendere molto per battere gli avversari alle primarie e per pagare eserciti di avvocati mentre i fan lo osannano ma non lo finanziano adeguatamente, era fermo a quota 42.
  • Soprattutto, l’ex presidente vuole lavare l’onta del Radio City Music Hall di New York dove qualche giorno fa la cena elettorale per Joe Biden, affiancato da Barack Obama e Bill Clinton, ha raccolto 26 milioni di dollari conquistando il titolo di evento di fundraising di maggior successo di tutta la storia degli Stati Uniti. Trump si è messo al lavoro telefonando personalmente a un gran numero di miliardari, compresi quelli che lo avevano abbandonato per sostenere altri candidati repubblicani come Ron DeSantis e Nikki Haley.
  • A New York Biden aveva puntato sull’effetto oceanico a prezzi “popolari”: cinquemila commensali che hanno pagato 225 dollari ciascuno (ma anche qui, per chi voleva la foto coi tre presidenti scattata dalla fotografa delle celebrity Annie Leibovitz, c’erano ricevimenti riservati prima e dopo la cena con biglietti d’ingresso variabili tra i 250 mila e il mezzo milione di dollari).
  • Trump ha optato per un ricevimento molto più raccolto (nella casa da 110 milioni di dollari acquistata da Paulson in Florida). Pochi commensali ma con le tasche piene con l’obiettivo di fare subito un controrecord pressoché irraggiungibile: 43 milioni di dollari in una sola serata. Non è detto che si arrivi a tanto ma Paulson ha detto che il record di Biden è già battuto: tre giorni prima dell’evento l’organizzazione aveva già incassato 33 milioni. Trump ce l’ha messa tutta per recuperare lo svantaggio e per riportare al suo ovile i miliardari che gli avevano voltato le spalle.
  • Il gala di domani ha ben 38 copresidenti tra i quali compaiono, oltre a suoi fedelissimi come Rebekah e Robert Mercer o il re dei casinò Steve Wynn, anche il petroliere Harold Hamm che gli aveva chiesto di farsi da parte per lasciare spazio a un candidato «che non crei del caos» e il tycoon degli alberghi, Robert Bigelow che qualche mese fa aveva dato 20 milioni a Ron DeSantis. E si era detto pronto a togliersi il pane di bocca pur di sostenere la corsa alla Casa Bianca del governatore della Florida. Oggi tornano tutti sul carro del leader conservatore. Non avendo, a differenza di Biden, altri presidenti da schierare, Trump ha convocato, come comprimari, tre dei candidati repubblicani da lui sconfitti: Tim Scott, Vivek Ramaswamy e Doug Burgum.
  • Ma la vera, grande attrazione, sarà un’altra: Melania, scomparsa da mesi dai radar della campagna elettorale, riemerge al fianco di Donald.
5. Così i cinesi resuscitano i «cari estinti» con l’Intelligenza artificiale
editorialista
di guido santevecchi

C’erano una volta i fantasmi e le voci dall’oltretomba. Chi diceva di aver avuto frequentazioni del genere veniva guardato con sospetto. Ora, nell’era dell’Intelligenza artificiale, tutto è possibile (o credibile). Da Pechino arriva la notizia di un servizio online che offre di far «rivivere virtualmente» parenti e amici che non ci sono più.

imageIl fondatore di SenseTime parla ai dipendenti: morto nel 2023, è stato resuscitato virtualmente dai tecnici della sua azienda di Intelligenza artificiale

In Cina questo è il weekend di Qingming, la Festa dei Morti, e seguendo la tradizione milioni di cinesi vanno a rendere omaggio alle tombe dei cari estinti. Ma con l’ausilio dei programmi di Intelligenza artificiale si possono creare avatar di chi non è più su questa terra, dando l’illusione di una comunicazione virtuale con l’aldilà. I cloni digitali non sono più una grande novità: l’universo delle fake news ultimamente è popolato anche da video di personaggi pubblici (soprattutto politici) che dicono cose assurde. Ma noi popolo di navigatori del web siamo di solito i soggetti passivi di queste campagne di disinformazione.

La nuova frontiera della manipolazione digitale promette invece di interagire con i trapassati e sentire le loro risposte dalla loro «viva voce» (per riprodurla basta fornire all’Intelligenza artificiale una registrazione anche brevissima dell’originale). Il costo per acquistare il clone della persona scomparsa a cui si voleva bene e che si vuole ascoltare ancora è appena 20 yuan, due euro e cinquanta centesimi. L’economia cinese funziona sui grandi numeri e già oggi il mercato degli «umani digitalizzati» genera 12 miliardi di yuan (1,5 miliardi di euro). Il giro d’affari dovrebbe quadruplicarsi nel giro di un paio d’anni. Al momento sono ancora pochi orfani, vedove e vedovi che cercano consolazione vedendo i trapassati materializzarsi e parlare sullo schermo di un portatile o di uno smartphone.

imageIl musicista Bao presenta la versione virtuale della figlia perduta

Il business degli avatar è alimentato soprattutto da influencer e livestreamer mandarini che pubblicizzano prodotti e nel 2023 hanno favorito vendite per 5 mila miliardi di yuan (635 miliardi di euro). Sono questi imbonitori della rete che hanno bisogno di sostituti virtuali identici a loro per poter restare in onda 24 ore su 24. Le agenzie di produzione di avatar hanno risolto il problema. Per provare l’affidabilità dell’offerta, SenseTime, uno dei nuovi giganti cinesi della Artificial intelligence il mese scorso ha organizzato una conferenza online nella quale il suo fondatore, Tang Xiao’ou si rivolgeva ai dipendenti collegati: «Ciao a tutti, ci incontriamo ancora finalmente. L’anno scorso è stato duro, ma questo 2024 ci darà soddisfazione». Per il presidente Tang in effetti il 2023 è stato pessimo: è morto il 15 dicembre all’età di 55 anni. Gli ingegneri della sua creatura SenseTime lo hanno resuscitato virtualmente...continua a leggere su Corriere.it

6. Il maratoneta dei droni ucraini

(Guido Olimpio) Gli ucraini hanno colpito di recente un impianto per la produzione bellica a Alabuga, Tatarstan. Un target a oltre 1200 chilometri di distanza raggiunto da un nuovo tipo di drone.

imageIl drone usato per l’attacco nel Tatarstan

I tecnici hanno modificato un paio di piccoli aerei A 22 di produzione locale trasformandoli in velivoli kamikaze. Una soluzione di ripiego vista l’assenza, nel loro arsenale, di missili a lungo raggio. L’incursione in profondità è stata favorita da misure anti aeree insufficienti. Nelle scorse settimane, sempre gli ucraini, hanno provocato danni gravi a numerose raffinerie in territorio russo sempre con uso di droni di vario tipo.

Intanto oggi gli ucraini hanno colpito a Rostov. Qui tutti gli aggiornamenti sulla guerra

7. Il «Romanzo criminale» siriano che fa discutere durante il Ramadan (c’entrano le mafie di Assad)
editorialista
di marta serafini

Che durante il Ramadan le «musalsalat» arabe (telenovele) siano argomento di discussione oltre che mezzo di intrattenimento per trascorrere le lunghe giornate di digiuno non è certo una novità. Ma quest’anno in Siria c’è una serie che sta facendo discutere più di altre. Titolo, Badeea’s Children. La trama inizia nel quartiere delle concerie di Damasco. Dopo la morte del potente proprietario della fabbrica Arif al-Dabbagh — il cui cognome significa «il conciatore» — si scatena una battaglia per l’eredità tra i suoi quattro figli. Tre sono poveri e nati da una relazione con una mendicante di nome Badeea. Sono Sugar, Shaheen e Yaseen. In Siria c’è un detto che recita: «prima della battaglia sentirai l’odore della polvere da sparo». E Badeea’s Children racconta proprio di quell’odore.

imageUn’immagine promozionale di «Badeea’s children»

Ossia dei traffici, delle lotte, dell’instabilità sociale e della violenza legata alla mafia controllata dal regime degli Assad ma anche alla disparità sociale aumentata nella Siria post bellica. Un esempio? La scena in cui Abu al-Hol, trafficante d’armi e mercenario ruba una fortuna in oro e tradisce i suoi uomini una volta che il tesoro è al sicuro in una villa. Per festeggiare, organizza un sontuoso barbecue, completo di narghilè e arak. I suoi uomini fanno un tuffo in piscina su suo invito ma braccio destro di Al-Hol immerge un cavo elettrico nell’acqua, uccidendoli tutti all’istante, e continua la sua festa cantando allegramente. A metà tra Narcos e Romanzo Criminale.

8. Kim, uomo di lettere: la «hit-parade» degli amici di penna

imageIl dittatore nordcoreano Kim Jong-un, 40 anni (presumibilmente)

(Guido Santevecchi) Kim Jong-un è «un uomo di lettere», letteralmente. Tra le poche conoscenze certe sulle sue abitudini c’è quella sulla passione per i messaggi scritti a mano.

  • Nel 2019 fu molto discusso il suo scambio di lettere con la Casa Bianca, quando c’era Donald Trump. In gioco c’era il negoziato nucleare tra Nord Corea e Stati Uniti e il presidente americano disse che il Maresciallo nordista gli aveva scritto non solo di politica e armamenti, ma anche di questioni personali come gli auguri di compleanno, con parole così gentili che quasi si erano «innamorati l’uno dell’altro». Quelle lettere sono finite negli archivi della politica, Kim e Joe Biden non si sono mai parlati né scambiati corrispondenza.
  • Ma il leader supremo di Pyongyang ha trovato altri indirizzi per coltivare la sua «verve letteraria». Dal 2022 ha scambiato 19 lettere autografe con Vladimir Putin. Un boom di corrispondenza rispetto al 2021, quando i due leader si erano scritti solo 4 volte. Ma nel 2022 Putin ha scatenato la guerra in Ucraina e il Cremlino ha riscoperto l’amicizia per il regime nordcoreano. Il grande interesse reciproco alla collaborazione si è concretizzato con l’invio di 3 milioni di proiettili d’artiglieria nordcoreana in cambio di forniture russe di petrolio, derrate alimentari e «consigli» nel campo missilistico. I 19 messaggi autografi hanno suggellato il rapporto tra Pyongyang e Mosca.
  • Però, il primo «amico di penna» di Kim è il presidente siriano Assad. Dal 2022 i due si sono scritti 34 volte.
  • E poi, il Maresciallo nordcoreano non ha dimenticato di mandare i suoi omaggi al grande vicino cinese: sempre dal 2022 si sono contate 24 lettere con Xi Jinping. Terza destinazione è Cuba: 23 messaggi. Gli analisti osservano che parte di questa corrispondenza riguarda occasioni formali, come auguri per feste nazionali o condoglianze in caso di sciagure. Ma l’incremento dello scambio di messaggi tra Kim e Putin segnala il consolidamento dell’asse tra i due uomini forti.

Una particolarità: nell’elenco delle lettere inviate da Kim la stampa nordcoreana segnala tutti gli auguri di buon compleanno per l’amico Putin e il presidente cubano Miguel Díaz-Canel. Ma la propaganda di Pyongyang non ha mai segnalato auguri ricevuti dal Rispettato Maresciallo per il suo compleanno. Non si tratta di uno sgarbo: il fatto è che tra i molti segreti di Kim c’è quello sulla sua data di nascita, mai rivelata ufficialmente. Anche questa è materia per l’intelligence: si presume che il dittatore sia venuto al mondo l’8 gennaio del 1983 o del 1984. Lo scorso gennaio dunque avrebbe compiuto 40 anni, ma al solito non c’è stato alcun annuncio, nessuna celebrazione pubblica. L’8 gennaio la stampa di Pyongyang ha pubblicato foto di Kim con la figlia Ju-ae e seguito di dignitari in visita a un allevamento di polli. Modo strano per celebrare un compleanno.

9. Perché McDonald’s si ricompra i ristoranti israeliani
editorialista
di clara valenzani

McDonald’s annuncia che ricomprerà in Israele 225 punti vendita, dati in gestione 30 anni fa al franchising Alonyal. L’accordo è stato siglato in un tentativo di riabilitare l’immagine della catena di fast-food in Medio Oriente, boicottata dopo lo scoppio della guerra e accusata di sostenere Israele: Alonyal, la cui società ha sede non distante da Tel Aviv, aveva dato centinaia di pasti in omaggio ai soldati israeliani, generando proteste in tutto il mondo (anche a Torino).

  • Le due parti, senza rendere pubblici i dettagli contrattuali, hanno divulgato un comunicato stampa congiunto sul sito di McDonald’s: «Rinnoviamo il nostro impegno sul mercato israeliano e vogliamo assicurare un’esperienza positiva ai nostri clienti», ha dichiarato il Presidente dello Sviluppo dei Mercati della catena, Jo Sempels.
  • Il desiderio è quello di veder risollevate le vendite, in calo da ottobre. A gennaio, la stessa McDonald’s aveva ammesso un «significativo impatto» del conflitto sul fatturato in Medio Oriente e in paesi a forte maggioranza musulmana come Indonesia e Malesia: un effetto dovuto alla «disinformazione, con boicottaggi scoraggianti e infondati», stando all’amministratore delegato Chris Kempczinski.
  • Con il 5% dei ristoranti nell’area mediorientale, i profitti di ottobre-dicembre erano stati ben lontani dal raggiungimento dell’obiettivo trimestrale prefissato, cosa che non accadeva da quattro anni: 0,7% invece di 5,5%. «Finché la guerra proseguirà, è improbabile che le vendite migliorino in maniera importante. Questa tragedia umana impatta su settori come il nostro», aveva commentato Kempczinski.
10. Cronache canadesi: auto rubate e Hell’s Angels

(Guido Olimpio) I furti di auto sono diventati una piaga estesa in numerose regioni del Canada, un fenomeno in crescita, con dozzine di episodi. Sotto la pressione dell’opinione pubblica polizia e dogana hanno intensificato i controlli lanciando l’Operazione Vector. Da dicembre sono stati recuperati 598 mezzi rubati e pronti per essere contrabbandati all’estero da gang bene organizzate.

imageL’«Operazione Vector»

Molti dei veicoli erano nascosti nei container destinati ad essere imbarcati su mercantili in porti della costa Est. Infatti, l’azione di contrasto ha riguardato, tra le altre, il Quebec.

Nuovo omicidio di mala a Montreal. Frederick Michel, 29 anni, membro di una gang, è stato ucciso a bordo della sua vettura. A sparare almeno due sicari. La vittima, con molti precedenti, potrebbe essere stata eliminata nel corso della faida che insanguina la zona dopo il rifiuto di una «banda» di pagare il pizzo ai loro fornitori di droga abituali, gli Hell Angels. Un atto di rivolta seguito da numerosi agguati e fratture tra gruppi coinvolti nello spaccio.

11. Le divorziate giapponesi potranno risposarsi
editorialista
di monica ricci sargentini

Meglio tardi che mai. Il Giappone ha finalmente cambiato una legge del 1800 che vietava alle donne di risposarsi per 100 giorni dopo il divorzio e assegnava la paternità agli ex mariti se i bambini erano nati entro 300 giorni dalla separazione legale dei genitori, anche se le ex mogli si erano ormai risposate. Una situazione kafkiana e fortemente penalizzante per le giapponesi che ha costretto le madri a decidere di non registrare i propri figli piuttosto che conformarsi al regolamento, soprattutto in caso di abusi domestici.

  • Non si sa quante persone si siano trovate in questa situazione per mancanza di dati in proposito. L’articolo 772 del Codice Civile giapponese, redatto nel 1896, recita: «Si presume che un bambino nato più di 200 giorni dopo la formazione di un matrimonio o entro 300 giorni dallo scioglimento o annullamento di un matrimonio sia stato concepito durante il matrimonio». Per evitare una sovrapposizione tra questi periodi e una potenziale confusione sulla paternità, alle donne era vietato risposarsi per 100 giorni.
  • Nessuna restrizione di questo tipo si applicava agli uomini. Il test del DNA ha risolto i problemi di paternità e negli ultimi dieci anni le donne si sono rivolte ai tribunali, alcune arrivando alla Corte Suprema. Le modifiche al codice civile entreranno in vigore domani. Le donne e i bambini potranno ora anche contestare le false attribuzioni paternità, un diritto finora riservato ai padri.
  • Ma le associazioni per i diritti umani sottolineano che rimangono molti problemi da risolvere come i casi in cui le donne non possono ottenere il divorzio o scegliere di non sposare legalmente un nuovo partner. In tali situazioni i bambini nati da nuove relazioni entro 300 giorni dovranno comunque affrontare la designazione dell’ex marito come padre legale o la mancata iscrizione all’anagrafe. L’anagrafe giapponese prevede un capofamiglia, tradizionalmente considerato un uomo, e non consente alle coppie di utilizzare cognomi diversi. Una sentenza storica dell’aprile 2021 ha riconosciuto il doppio cognome di una coppia giapponese che si era sposata negli Stati Uniti, ma non c’è ancora stata una riforma delle regole nazionali.
Da tenere d’occhio:
  • La National Italian American Foundation (NIAF) ha annunciato la nomina di Paolo Messa a Vice Presidente esecutivo per le relazioni internazionali e le partnership strategiche. Messa vanta oltre 20 anni di esperienza all’interno di istituzioni, aziende ed enti governativi italiani. Fondatore della rivista Formiche, più recentemente, è stato Presidente del Consiglio di amministrazione di Leonardo US Corporation e attualmente ricopre la carica di Nonresident Senior Fellow presso l’ Atlantic Council a Washington DC. In qualità di Vice Presidente esecutivo, Messa guiderà il team di relazioni internazionali della NIAF con l’obiettivo di organizzare programmi, eventi e iniziative volti a rafforzare le relazioni commerciali, politiche e culturali tra le due nazioni. Prima del suo incarico presso Leonardo, Messa è stato direttore esecutivo del Centro Studi Americani di Roma e ha fatto parte del consiglio di amministrazione della RAI e del Conai. Autore e professore, Messa è membro di prestigiosi think-tank come l’Atlantic Council e l’European Council on Foreign Relations.

Grazie per la lettura, ci risentiamo lunedì

Passate un ottimo weekend!

Simone Sabattini


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