|
Il valico di Erez dopo il 7 ottobre, in una foto Getty del 2 gennaio scorso Aprite Erez, chiudete Erez. Prima del 7 ottobre, oltre ai tunnel scavati da Hamas, c’erano solo due modi per entrare e uscire da Gaza: il valico di Erez, a nord, al confine con Israele; quello di Rafah, a sud, verso l’Egitto. Altri due passaggi, Karni e Kerem Shalom, funzionavano a singhiozzo. Erez è sempre stato l’ingresso principale della prigione a cielo aperto. La porta dell’inferno. Il termometro delle tensioni: bastava un attentato a Tel Aviv o una sassaiola sulla Spianata delle moschee, perché venisse sbarrato a tempo indeterminato. E se per caso ti trovavi dentro la Striscia, ciao: dentro restavi, e per chissà quanto.
- È un enorme hangar di 35mila metri quadrati, costruito dagli israeliani nel 2007, subito dopo l’avvento di Hamas. Sembra il check-in d’un aeroporto, costo 60 milioni di dollari. Coi metal detector, gli scanner per i bagagli, otto-controlli-otto, gli interrogatori, le perquisizioni, le guardie di frontiera ben protette da vetri blindati che ti gridano al microfono il da farsi, i corridoi di passaggio da percorrere dentro una specie di gabbia.
- C’è perfino la stanzetta dei kamikaze: se sospettano qualcosa, ti c’infilano dentro e devi spogliarti di tutto, ma proprio di tutto, una grata al posto del pavimento e sotto di te una grande fossa, con un poliziotto che spiega come quella buca serva a «fare decompressione in caso d’esplosione». Un giornalista fu tenuto lì dentro un’ora, in mutande, perché ai raggi X risultavano presenze metalliche: era il frammento del blister d’una medicina, che gli era rimasto appiccicato sulla pelle.
- Da Erez, gli israeliani han sempre lasciato passare solo i diplomatici, le ong, i media, gli aiuti essenziali: vietati vetro, cemento, ferro e un elenco d’un centinaio di materiali da costruzione buoni, in realtà, per fabbricare anche i razzi.
- Naturalmente, col contagocce, di lì passavano anche i palestinesi. «Capacità di gestire 45mila persone al giorno», dicono le autorità di frontiera: in realtà, per il valico di Erez ne son sempre passate poche centinaia, perlopiù malati e commercianti con autorizzazioni speciali. Numerose, le denunce di soprusi: permessi negati a bambini che dovevano andare in Israele per la chemioterapia, donne respinte per piccole irregolarità burocratiche.
- Qualche anno fa, un giornale arabo scrisse che a molti palestinesi veniva offerto il diritto di transito in cambio d’informazioni ai servizi segreti israeliani. Tanta attenzione alla sicurezza proveniva da rischi reali: prima che venisse costruito l’hangar, più volte gli attentatori suicidi erano riusciti a beffare la sicurezza, scavallando il confine. Una mattina perfino Jimmy Carter, l’ex presidente americano entrato nella Striscia per negoziare, proprio a Erez rischiò di saltare per aria in un attentato d’un gruppo salafita.
- Il giorno del massacro nei kibbutz, il valico è stato completamente devastato dalla furia dei combattimenti, dai miliziani di Hamas e pure dalla rabbia dei palestinesi. Prima che venisse riaperto, lo Shin Bet aveva ipotizzato d’isolarlo con una zona cuscinetto d’almeno due chilometri. Una terra di nessuno. Dove nessuno, da sei mesi, ormai vive più.
|
|