Francia, cosa può succedere con il voto di domenica? Per Le Pen maggioranza assoluta lontana: il rischio di una situazione bloccata

diStefano Montefiori

I veti tengono le ipotetiche coalizioni sotto la soglia dei 289 seggi. La suggestione di un asse Le Pen-Mélenchon per «cacciare» Macron

Francia, cosa può succedere con il voto di domenica? Per Le Pen maggioranza assoluta lontana: il rischio di una situazione bloccata

Marine Le Pen

DAL NOSTRO CORRISPONDENTE 
PARIGI - Jordan Bardella crede ancora nella maggioranza assoluta, si dice certo che la dinamica politica favorevole al Rassemblement national continuerà domenica e che i francesi lo porteranno a Matignon, sulla poltrona di primo ministro. Forse ne è convinto davvero, forse deve dire così, in un’intervista al Figaro, per non demotivare le truppe e per provare a giocarsela fino all’ultimo. Ma è indubbio che i patti di desistenza abbiano funzionato: oltre 200 candidati si sono ritirati per fare in modo che il maggior numero possibile dei voti vada agli avversari del Rn, chiunque essi siano nei vari collegi. Bisognerà vedere poi come reagiranno i francesi a quella che resta una manovra delle élite politiche, sia pure giustificata con il nobile scopo di sbarrare la strada all’estrema destra: che cosa faranno gli elettori che al primo turno avevano scelto un candidato che poi si è ritirato? 

Andranno a votare automaticamente per il candidato anti Rn restante, o preferiranno non votare affatto? O addirittura sceglieranno proprio il lepenista, lasciando quindi intatte le chance dell’uomo o della donna del Rassemblement national? Bardella spera che gli elettori si ribelleranno a questa intesa di fatto tra macronisti e sinistra, ma i sondaggi indicano che la soglia dei 289 seggi per avere la maggioranza assoluta si fa lontana. Il Rassemblement national potrebbe fermarsi forse a 220-240 seggi, e a quel punto diventerebbe più difficile il tentativo di coinvolgere altri deputati dei Républicains, come auspica Marion Maréchal da sempre fautrice dell’unione delle destre. 

La coabitazione tra il presidente Macron e il premier Bardella, che sembrava probabile subito dopo il primo turno, è uno scenario quindi meno realizzabile. Complicato anche che si arrivi a una coabitazione tra il presidente Macron e un premier, ancora da trovare, della «maggioranza plurale» auspicata dall’attuale premier Attal, non esclusa dai socialisti moderati del Nouveau front populaire e dall’ecologista Marine Tondelier, ma già scartata dall’altra ecologista Sandrine Rousseau. Poi c’è la grande questione della France insoumise di Jean-Luc Mélenchon: il coordinatore nazionale Manuel Bompard dice che loro chiedono il voto per un programma e quel programma vorranno applicare. 

Solo che quel programma è ovviamente inaccettabile per chi di sinistra radicale non è, e infatti il presidente Macron ieri ha precisato che a governare con Lfi non ci pensa neanche. Quindi, questa «maggioranza plurale» raccoglierebbe tutte le forze politiche tranne il Rn e Lfi, ma i numeri sembrano non esserci. Il lavoro per trovarli in aula, dopo il voto, sarà complesso e richiederà un’attitudine al compromesso che è forse più frequente trovare in Italia, e molto meno nella Francia del semipresidenzialismo e delle maggioranze che finora si limitavano a ratificare il suo strapotere. E un governo tecnico? Di tutte le ipotesi sembra quella meno accettabile per un elettorato che vota in vari modi ma quasi sempre ormai per dire una cosa: no alle élite staccate dal popolo, no alla tecnocrazia. 

Prende forza quindi lo scenario di un parlamento bloccato, che peraltro alcuni, come l’ex eurodeputata e ministra centrista Sylvie Goulard in un’intervista al Corriere, avevano pronosticato subito dopo la decisione di Macron di tornare alle urne. Con una suggestiva variante, avanzata ieri dalla rivista Grand continent: una maggioranza che si forma non per governare ma per fare cadere il presidente, come accadde cento anni fa, nel maggio 1924, ad Alexandre Millerand, spossato dopo un mese di tentativi di formare un governo che ottenesse la fiducia parlamentare. Costringere Emmanuel Macron alle dimissioni: un unico, potentissimo punto programmatico, che riuscirebbe forse a mettere d’accordo tutti, persino l’estrema destra e l’estrema sinistra.

4 luglio 2024

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