Inchiesta Regione Liguria, i giudici: Toti resti ai domiciliari, «non ha capito appieno le accuse»
Per il Riesame può «reiterare il reato». L’avvocato: «È un processo alle intenzioni»
GENOVA - Finché, a causa della sua «personalissima convinzione» di non commettere reati, Toti non capirà che non può accettare soldi o regali se è governatore della Liguria, deve restare ai domiciliari perché c’è il «pericolo che commetta altri fatti di analoga indole», scrive il Tribunale del Riesame di Genova confermando gli arresti ai quali si trova nella casa di Ameglia (La Spezia) dal 7 maggio nell’inchiesta che lo accusa di aver preso tangenti dall’imprenditore portuale Aldo Spinelli. «È un processo alle intenzioni. Se ne deduce che solo un’eventuale dimissione possa fare venire meno questo rischio», commenta il suo legale, l’avvocato Stefano Savi.
All’accusa di aver avuto da Spinelli finanziamenti per 74 mila euro in cambio di favori, nel lungo interrogatorio del 23 maggio e in una memoria Toti ha risposto che, anche se è convinto di aver ricevuto i soldi rispettando la legge sul finanziamento dei partiti e senza un accordo corruttivo, in futuro si asterrà dal farlo. Affermazione che «suona come una sterile presa d’atto della fondatezza» dell’accusa al tribunale presieduto da Massimo Cusatti, che definisce l’interrogatorio «irrilevante», «infarcito di molti non ricordo» ed in cui, a fronte dello «sforzo» di apparire «trasparente e collaborativo», Toti non è riuscito a superare le intercettazioni «che hanno cristallizzato» le accuse dei pm guidati da Nicola Piacente.
Alla difesa che ha chiesto la revoca dei domiciliari perché sono Toti ha fatto «ammissioni» importanti, i giudici rispondono che non ce ne sono state affatto perché «ha ammesso solo ciò che era stato già ampiamente registrato dalle intercettazioni». Se «un indagato decide di ammettere le proprie responsabilità», annotano, deve farlo «nella loro compiutezza, senza avventurarsi in sottili distinzioni che, proprio in materia di corruzione risultano quasi sofistiche», tra cosa percepisce o no come reato.
Sarebbe allora impensabile che una volta fuori dai domiciliari «si faccia spiegare ogni volta dagli inquirenti cosa sia lecito e cosa non lo sia», che chiedere finanziamenti a chi vuole appoggiare la sua strategia politica è lecito, ma altro è farsi pagare in cambio di favori. Non può, quindi, tornare libero: c’è «il concreto e attuale pericolo» che commetta altri fatti di «allarmante gravità». Invece, non c’è rischio che dopo tre anni di indagini e due mesi di domiciliari possa inquinare le prove, come dicono i pm che però «non hanno documentato» i loro sospetti.
Non spetta al Tribunale «bilanciare» l’interesse della giustizia e quello del buon andamento della pubblica amministrazione, come sostiene il presidente emerito della Corte costituzionale Sabino Cassese in un parere depositato dalla difesa. Significa «teorizzare» che l’investitura popolare permetta una sorta di «immunità cautelare» a fronte di «un vulnus tra i più gravi che possano essere inferti» all’amministrazione pubblica e al «rispetto della volontà popolare», scrive il collegio.
Il governatore può, però, continuare a fare politica dai domiciliari, ma solo con gli «incontri di schietta finalità politica» che il gip, come ha già fatto, autorizzerà di volta in volta perché non costituiscono un rischio per le indagini. Ma non potrà avere rapporti con gli apparati amministrati attraverso i quali è accusato di aver commesso i reati (l’avvocato Savi è pronto a chiedere anche incontri con la stampa). A chi, Cassese compreso, sospetta che gip e pm vogliano costringere Toti a dimettersi, i giudici rispondono che non si «intravede nemmeno in filigrana una indebita pressione». Mentre Savi annuncia ricorso in Cassazione, la procura valuta se chiedere il giudizio immediato.
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