
José Andrés: “I nostri volontari eroi morti per condividere il cibo con gli altri”
Nelle condizioni peggiori che si possano immaginare – dopo uragani, terremoti, bombardamenti e sparatorie – si manifesta il meglio dell’umanità. Non una volta ogni tanto, sempre.
I sette membri della missione di World Central Kitchen a Gaza che sono stati uccisi lunedì erano il meglio dell’umanità. Non persone senza volto o nome. Non generici operatori umanitari o danni collaterali della guerra.
Saifeddin Issam Ayad Abutaha, John Chapman, Jacob Flickinger, Zomi Frankcom, James Henderson, James Kirby e Damian Sobol hanno messo a rischio la propria vita per svolgere la più fondamentale attività umana: condividere il cibo con gli altri.
Accanto a loro ho servito in Ucraina, Turchia, Marocco, Bahamas, Indonesia, Messico, Gaza e Israele. Erano molto più che eroi.
Il loro lavoro si basava sulla semplice convinzione che il cibo è un diritto umano universale. Che prescinde dall’essere buoni o cattivi, ricchi o poveri, di sinistra o di destra. Noi non ti chiediamo a quale religione appartieni. Ti chiediamo solo quanti pasti ti servono.
Fin dal primo giorno abbiamo sfamato israeliani e palestinesi. In tutta Israele abbiamo servito più di 1.750.000 pasti caldi. Abbiamo sfamato famiglie sfollate a causa dei razzi di Hezbollah nel Nord del Paese. Abbiamo sfamato famiglie in lutto provenienti dal Sud del Paese. Abbiamo consegnato pasti negli ospedali in cui gli ostaggi liberati si sono ricongiunti alle loro famiglie. Abbiamo chiesto continuamente, ripetutamente e con forza il rilascio di tutti gli ostaggi.

Mentre lo facevamo, abbiamo comunicato spesso con l’esercito israeliano e i funzionari civili. Allo stesso tempo, abbiamo lavorato a stretto contatto con i vertici delle comunità di Gaza e con le nazioni arabe della regione. Non c’è altro modo, se si vuole far arrivare una nave piena di cibo a Gaza.
È così che siamo riusciti a servire più di 43 di milioni di pasti, che abbiamo preparato pasti caldi in 68 cucine di comunità a Gaza, cucine in cui i palestinesi davano da mangiare ai palestinesi.
Conosciamo gli israeliani. Gli israeliani, in fondo al cuore, sanno che il cibo non è un’arma di guerra.
Israele è molto migliore del modo in cui è condotta questa guerra. Sa che non si deve bloccare l’accesso dei civili a cibo e medicine. Sa che non si devono uccidere operatori umanitari che hanno concordato i loro spostamenti con le Israeli Defense Forces.

Il governo israeliano deve aprire più vie di terra per l’ingresso di cibo e medicine, oggi. Deve smettere di uccidere civili e operatori umanitari, oggi. Deve iniziare il lungo percorso verso la pace, oggi.
Nelle condizioni peggiori, dopo aver subito i peggiori attacchi terroristici della sua storia, è tempo che Israele mostri la sua parte migliore. Non si possono salvare gli ostaggi bombardando ogni singolo edificio di Gaza. Non si può vincere questa guerra affamando un popolo intero.
Accogliamo la promessa fatta dal governo, di condurre un’indagine per stabilire chi e come ha ucciso alcuni membri della famiglia di World Central Kitchen. L’indagine deve iniziare dai vertici, non solo dal basso.
Il primo ministro Benjamin Netanyahu, riguardo all’uccisione per mano israeliana della nostra squadra, ha detto: «Sono cose che succedono, in guerra». Si è trattato di un attacco diretto contro veicoli chiaramente contrassegnati i cui spostamenti erano noti alle Israeli Defense Forces.
È stato anche il risultato diretto di scelte che hanno costretto gli operatori umanitari a lavorare in condizioni disperate. La nostra squadra aveva appena ritirato circa 400 tonnellate di aiuti arrivati via mare. Il nostro secondo carico, finanziato dagli Emirati Arabi Uniti, con il sostegno di Cipro e l’approvazione delle Israeli Defense Forces.

I membri della squadra hanno messo a rischio le proprie vite perché gli aiuti alimentari sono molto rari e ce n’è un disperato bisogno. Secondo l’iniziativa globale Integrated Food Security Phase Classification (Ipc), metà della popolazione di Gaza – 1.100.000 persone – è a rischio carestia. La squadra non avrebbe dovuto fare quello spostamento se via terra, con i camion, fosse arrivato abbastanza cibo per sfamare la gente di Gaza.
I popoli del Mediterraneo e del Medio Oriente, al di là della loro appartenenza etnica o religiosa, condividono una cultura che considera il cibo come una grande testimonianza di umanità e ospitalità, simbolo della nostra speranza condivisa in un futuro migliore.
C’è un motivo per cui, in questo periodo dell’anno, i cristiani fanno le uova di Pasqua, i musulmani mangiano un uovo durante l’iftar e c’è un uovo nel piatto del Seder di Pesach. L’uovo, simbolo primaverile della rinascita di vita e speranza, travalica religioni e culture.
Sono stato ospite alle cene di Seder. Ho ascoltato le antiche storie che raccontano di stranieri in terra d’Egitto e servono a ricordare – davanti a un banchetto – che i figli di Israele un tempo sono stati schiavi.
Nutrire gli estranei non è un segno di debolezza, ma di forza. Il popolo di Israele deve ricordare, in quest’ora buia, come si dimostra la vera forza.
Lo chef spagnolo José Andrés è il fondatore dell’Ong World Central Kitchen
— Traduzione di Alessandra Neve
©the new york times 2024