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Cosa significa l'uccisione del leader di Hamas Haniyeh per la guerra e come risponderanno i nemici dello Stato ebraico
Il Mossad ha una storia di omicidi mirati all’interno dei confini della Repubblica Islamica d'Iran. Operazioni iniziate fin dai primi anni 2000 e attuate con ogni tipo di mezzo. Pistole con il silenziatore, bombe magnetiche applicate alle auto, ammazzamenti camuffati da «incidenti», sabotaggi. Sono stati fatti fuori molti scienziati legati all’industria militare, rappresentanti dell’establishment, a volte figure poco note all’estero, però con ruoli importanti.
Restando ad un’epoca recente ricordiamo due episodi. Nel settembre 2020 i sicari prendono di mira Abdullah Ahmed Abdullah, alias Abu Mohammed al Masri, alto esponente di al Qaeda rifugiatosi a Teheran. Un favore — si è detto — degli israeliani alla Cia: il terrorista era accusato delle stragi in due ambasciate Usa in Africa. Pochi mesi dopo, a novembre, l’azione più complessa con l’imboscata al padre del programma atomico Mohsen Fakrizadeh. Lo hanno trafitto nonostante scorta e misure di protezione usando — è uno degli scenari più citati — una mitragliatrice guidata in remoto, si è parlato anche del ricorso all’intelligenza artificiale. Un attacco di grande portata, simbolico e profondo. Perché ha dimostrato ancora una volta la capacità di arrivare ai bersagli più difficili. Un messaggio diretto ai successori di Khomeini.
La ripetizione di questi eventi è la conferma di come il Mossad abbia nel tempo costruito una rete di informatori e di agenti locali (spesso oppositori ai mullah) che «insegue» i bersagli di alto valore, identifica snodi bellici cruciali, si impadronisce dell’intero archivio atomico, fornisce il dato necessario per poter agire. Inevitabile pensare a complicità, collusioni basate su una ricompensa oppure sull’avversione nei confronti del regime. I «volontari» non mancano per nessuna di queste opzioni.
Restando ad un’epoca recente ricordiamo due episodi. Nel settembre 2020 i sicari prendono di mira Abdullah Ahmed Abdullah, alias Abu Mohammed al Masri, alto esponente di al Qaeda rifugiatosi a Teheran. Un favore — si è detto — degli israeliani alla Cia: il terrorista era accusato delle stragi in due ambasciate Usa in Africa. Pochi mesi dopo, a novembre, l’azione più complessa con l’imboscata al padre del programma atomico Mohsen Fakrizadeh. Lo hanno trafitto nonostante scorta e misure di protezione usando — è uno degli scenari più citati — una mitragliatrice guidata in remoto, si è parlato anche del ricorso all’intelligenza artificiale. Un attacco di grande portata, simbolico e profondo. Perché ha dimostrato ancora una volta la capacità di arrivare ai bersagli più difficili. Un messaggio diretto ai successori di Khomeini.
La ripetizione di questi eventi è la conferma di come il Mossad abbia nel tempo costruito una rete di informatori e di agenti locali (spesso oppositori ai mullah) che «insegue» i bersagli di alto valore, identifica snodi bellici cruciali, si impadronisce dell’intero archivio atomico, fornisce il dato necessario per poter agire. Inevitabile pensare a complicità, collusioni basate su una ricompensa oppure sull’avversione nei confronti del regime. I «volontari» non mancano per nessuna di queste opzioni.