Attentato e teorie del complotto: il virus paranoide colpisce ancora

diFederico Rampini

È l’11 settembre 2001 che segna l’inizio dell’era post-moderna nelle fake news, ma è durante il trumpismo che ha visto prevalere un’ispirazione di destra

Erano passati pochi minuti dall’attentato a Donald Trump e già fiorivano le teorie del complotto. Una varietà infinita: dal teorema «è stato Trump a organizzarsi da solo questa messinscena» a quello per cui «è stato Biden a tentare di farlo fuori, vedi il flop inspiegabile del Secret Service». Solo la mia casella di email trabocca di messaggi da lettori che hanno già le loro certezze in proposito. La mia posta è solo un microscopico campione di quanto sta accadendo sui social americani.

Il virus della dietrologia ha colpito ancora, micidiale e implacabile. Deve esserci sempre un verità alternativa ben diversa dalla verità apparente: la paranoia del «cosa c’è dietro» è prevedibile, scontata, quasi banale. Eppure è sconcertante per il modo in cui ha messo radici nelle nostre società occidentali. È normale che i sudditi di un regime dispotico non credano all’informazione che ricevono: sanno che il regime autoritario mente sistematicamente. A Mosca o a Pechino, a Teheran o a Pyongyang gli individui pensanti sono al corrente di vivere avvolti nella censura, nella propaganda di Stato, nelle fake news. È meno ovvio che nelle nostre democrazie, pluraliste e trasparenti, si debbano sempre sospettare dei segreti scabrosi.

Nel caso dell’attentato a Trump una delle spiegazioni dietro la paranoia è la faziosità politica che segna le due tribù democratica e repubblicana, soprattutto le ali estreme. Un pezzo di società americana è convinta che la sinistra possa arrivare a eliminare fisicamente Trump: di qui il sospetto che nell’attentato di sabato sera in Pennsylvania il flop clamoroso del Secret Service sia stato in realtà «comandato» da Biden per far fuori un rivale che rischia di vincere le elezioni. All’estremo opposto, la sinistra ha demonizzato Trump a tal punto che non può accettare di vederlo nel ruolo di vittima: quindi a ordire l’attentato dev’essere stato lui. L’intelligenza naufraga nel vortice di queste dietrologie. Però non c’è nulla di nuovo sotto il sole.

Le teorie del complotto avevano una tradizione così antica, che uno dei più grandi storici americani del Novecento, Richard Hofstadter, ne ha ricostruito le origini in un saggio pregevole: «Lo stile paranoide nella politica americana». Quello scritto risale al 1952, non a caso in pieno maccartismo, la caccia alle streghe che portò a purghe anticomuniste agli albori della guerra fredda. Hofstadter trovava materiale abbondante già nel Settecento e nell’Ottocento. Un decennio dopo la pubblicazione di quel libro, l’assassinio di John Kennedy nel 1963 diede un altro impulso potente alle teorie cospirative. Dopo l’attentato di Dallas fiorirono le «piste» che attribuivano l’uccisione di JFK ai sovietici, ai cubani, alla mafia, all’estrema destra razzista. Non sono mai finite quelle speculazioni. Ne fu vittima anche un parente stretto: Robert Kennedy Jr, nipote di John e figlio di Bob (assassinato a sua volta nel 1968), oggi candidato indipendente alla Casa Bianca, ha sempre creduto che dietro gli assassinii di suo zio e di suo padre ci fosse la mano della Cia.

L’11 settembre 2001 segna l’inizio dell’era post-moderna nelle fake news: la paranoia entra in una proliferazione digitale. Il complottismo incrocia per la prima volta Internet su vasta scala, e questo innesca una deflagrazione. L’attacco al World Trade Center diventa la madre di tutte le teorie cospirative. Leggende metropolitane, teoremi su trame internazionali, dietrologie deliranti (o magari verosimili ancorché false) vi fanno un salto di qualità eccezionale. Diventano virali, con un neologismo che si diffonde allora passando dalla sfera biomedica a quella della comunicazione. Come sempre il fenomeno ha un tenue legame con la realtà, parte da domande basilari, in parte doverose, del tipo: a chi giova distruggere le Torri di New York? E ancora: come mai l’intelligence americana è stata beffata in modo così stupefacente? Da lì si arriva a conclusioni folli, ma capaci di sedimentarsi in alcune fasce dell’opinione pubblica per anni, decenni. Fino ad oggi.

Per capire quando vengono poste le premesse delle «teorie del complotto» che hanno agitato l’era di Trump, poi la pandemia e la campagna vaccinazioni, si deve risalire proprio a quella data: 9/11 (così la scrivono gli americani, con il mese che precede il giorno). Con una precisazione. Durante il trumpismo la fabbrica delle fake news ha visto prevalere un’ispirazione di destra. Dopo l’attacco alle Torri Gemelle, invece, fu la sinistra mondiale – almeno le sue correnti più radicali – a finire ipnotizzata da farneticazioni su congiure mondiali. Si capisce perché. L’aggressore – Al Qaeda – veniva dal campo dei «buoni» o quantomeno delle «vittime», nel manicheismo della sinistra dogmatica: cioè dal mondo arabo-islamico, per definizione catalogato fra gli oppressi della terra. L’aggredito – l’America di Bush, o New York/Wall Street come capitale della finanza globale, o il Pentagono di Washington – figurava in cima ai nemici storici della sinistra, ovvero l’Impero del Male, il colpevole di tutte le sofferenze planetarie. Poiché con l’11 settembre era il presunto «debole» ad attaccare l’odiata superpotenza e a spargere sangue innocente facendo strage di quasi tremila cittadini inermi, per la componente faziosa della sinistra i casi erano due. O si aveva il coraggio di applaudire Osama Bin Laden, di celebrare la strage come un trionfo della giustizia: così fecero tanti palestinesi e varie folle arabe che si riversarono sulle piazze nei loro paesi. Oppure si trovava un accorgimento più miracoloso per salvarsi l’anima: pretendere che l’orrore era stato in realtà ordito dagli americani stessi, magari in combutta con i loro alleati israeliani. È la macabra scorciatoia del pensiero magico che assolve il carnefice e processa la vittima.

Si fece strada, molto presto, la leggenda metropolitana secondo cui quel giorno terribile nessun ebreo americano si era recato al lavoro nelle Torri gemelle. Evidentemente avvertiti in tempo dai servizi segreti israeliani. Questa fu solo una delle prime fake news, senza nessun fondamento nella realtà, ma che attecchirono su un terreno fertile: c’è chi ci crede ancora oggi. È sterminato l’elenco delle teorie del complotto nate poche ore dopo l’11 settembre, e sviluppatesi rigogliosamente con una vita autonoma che prosegue vent’anni dopo. Gli studiosi delle fake news hanno dovuto catalogarle per «famiglie di teorie», tanto sono numerose e complicate. I grandi filoni del complottismo hanno alcuni elementi in comune. Quasi tutti partono dalla certezza che in America il Potere sapeva in anticipo, o addirittura aveva commissionato e orchestrato quegli attentati. Fior di inchieste, parlamentari e non, hanno dimostrato gravi colpe e omissioni dell’intelligence ma nessuna collusione: questo è irrilevante perché la paranoia non è mai stata curata con iniezioni di verità. Un sottoinsieme di fake news si basa sull’assunto che lo schianto di due jet passeggeri carichi di carburante non era sufficiente a far crollare le Torri gemelle, che dunque furono demolite dall’interno, con una regìa americana. Le perizie ingegneristiche, indipendenti o dirette dalla massima authority del genio civile, hanno sfatato anche questo mito.

Una caratteristica della paranoia nell’era digitale ci accompagna tuttora: nella «nuvola» informatica le bugie diventano immortali. A differenza dei secoli passati, per i quali Hofstadter ha dovuto svolgere un lavoro da archeologo, riportando alla luce antiche teorie del complotto che erano state sepolte nell’oblìo, oggi the cloud (la nuvola informatica) protegge e conserva le menzogne molto meglio degli unguenti per le mummie degli antichi egizi. Chi vuol credere alla sua verità alternativa può farlo in eterno.

Resta inquietante il paragone tra le nostre società democratiche e i regimi autoritari. Se chi vive sotto un despota ha ragione di diffidare per principio di ogni verità ufficiale, perché tanti cittadini che vivono in sistemi politici liberi soffrono della stessa sindrome del sospetto permanente? La dietrologia è una malattia senile di una democrazia decadente, che perde consenso perfino sulle sue regole del gioco fondamentali? Un pezzettino di risposta si può trovare nel decadimento del sistema dei media. Ancora ai tempi di John e Bob Kennedy, o dello scandalo Watergate che travolse Richard Nixon, c’erano grandi giornali e reti tv che venivano considerati degli arbitri abbastanza imparziali. Oggi questo è un lontano ricordo, i grandi media americani hanno scelto una vocazione partigiana. L’avvento dei social ha aggravato il problema: gli algoritmi che intuiscono le nostre preferenze ci costruiscono delle «casse di risonanza», per cui riceviamo quasi soltanto delle informazioni omogenee alle nostre opinioni politiche e ai nostri pregiudizi. Ma in fondo, se le teorie del complotto esplosero nel 1963 dopo l’assassinio di JFK, in un’America così diversa da quella attuale, vuol dire che la patologia non è riconducibile a evoluzioni recenti nel panorama dei media o delle tecnologie dell’informazione.

15 luglio 2024

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