Il no di Zelensky al cavallo di Troia della pace proposta da Putin

diLorenzo Cremonesi, inviato a Kharkiv

Kiev guarda alla proposta russa con estremo sospetto, anche perché il discorso di Putin si apre con una menzogna

C’è ben poco di nuovo nelle parole di Vladimir Putin, che vorrebbe rilanciare la sua proposta di pace. L’unica novità sta nell’evidente volontà di interferire e confondere i dialoghi voluti al summit in Svizzera dal presidente Volodymyr Zelensky per cercare di pianificare una proposta alleata condivisa che ponga le premesse per la fine alla guerra. 

Non è affatto strano che Kiev guardi alla mossa di Putin con estremo sospetto e l’abbia sostanzialmente rifiutata. Questi i motivi principali. Prima di tutto, secondo i portavoce di Zelensky, Putin apre il suo discorso con una menzogna di base: non è affatto vero che nel marzo 2022 le sue truppe non intendevano prendere Kiev. La semplice verità, osservata anche dai reporter sui campi di battaglia, fu che il piano russo mirava a occupare l’intera Ucraina ed eliminare in ogni modo il suo attuale gruppo dirigente. Fu la reazione militare ucraina a paralizzare i progetti di Putin. 

In quella prima fase, fu invece Zelensky a proporre un compromesso, che prevedeva il ritiro russo sulle frontiere del 23 febbraio 2022, accompagnato dal «congelamento» dello status quo sino a 15 anni. Fu Putin a non accettare, imponendo già allora la formula della «neutralità» ucraina e dalla garanzia del suo disarmo assieme alla chiara promessa che non sarebbe mai entrata nella Nato. 

Da allora in poi i russi hanno sostanzialmente cercato di occupare tutto ciò che potevano. Sono state le armi a dettare i confini, non la diplomazia. Zelensky ha invece continuato a rilanciare la sua proposta sino al settembre 2022, quando Putin scelse di imporre nelle regioni occupate i suoi referendum farlocchi e considerati illegali dai massimi organismi internazionali. È stato allora che Zelensky ha iniziato a sostenere che la pace non era possibile con Putin e l’unica soluzione per l’Ucraina sarebbe stato recuperare tutti i suoi territori, comprese la Crimea e le zone del Donbass perse nel 2014. 

Oggi Putin non esige soltanto la sovranità russa sulle zone occupate dalle sue truppe, ma intende allargarla alle quattro intere regioni di Lugansk, Donetsk, Kherson e Zaporizhzhia. In poche parole, a suo dire, Zelensky dovrebbe spiegare ai suoi soldati e alla popolazione che ben oltre due anni di sacrifici e orrori sono stati inutili: occorre ritirarsi da altre terre e disarmarsi. In sostanza, la resa. 

Ma a questo punto, più della questione del compromesso territoriale, l’attenzione ucraina si concentra sulla preservazione della propria totale sovranità e dei rapporti con la Nato. Anche qui, nella città martoriata di Kharkiv, non è difficile incontrare cittadini e soldati che sarebbero forse disposti a parziali concessioni territoriali (certo minori di quelle volute da Putin), ma in cambio chiedono l’ombrello armato dalla Nato e che nessuno a Mosca possa mai interferire nei loro affari interni. Oggi più che mai gli ucraini non si fidano di Putin ed esigono garanzie credibili, per impedire che la pace si traduca in un infido Cavallo di Troia.

14 giugno 2024

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