Minacce ai giudici, inni alla violenza: l’«esercito» pronto a servire Trump
Migliaia i messaggi sulle piattaforme vicine all’ex presidente. La campagna: post rimossi
NEW YORK - Inviti ad attaccare i 12 giurati che hanno condannato Donald Trump. L’auspicio che qualcuno «che non ha nulla da perdere» vada a giustiziare con un machete il giudice Juan Merchan. Ma c’è anche chi va molto oltre: «Questa non è una situazione che si risolve votando, bisogna ammazzare i liberal». «Abbiamo bisogno di un milione di uomini armati che entrano a Washington e impiccano quelli che incontrano: è l’unica soluzione». «L’America è stata distrutta dai democratici: caricate le armi». E ancora: «Trump, siamo un esercito pronto, aspettiamo solo un tuo ordine».
Sotto scorta
Sono solo alcuni delle migliaia di messaggi che invitano alla rivolta diffusi in rete all’indomani della condanna di Trump a New York. Ne ha raccolti molti l’agenzia Reuters, scandagliando le tre piattaforme social più vicine all’ex presidente: la sua Truth Social, Patriots.Win e GatewayPundit. Linguaggi e minacce impressionanti che, però, non sorprendono chi ha seguito la discesa negli inferi della dialettica politica americana dalla sconfitta elettorale di Trump in poi. In un Paese in cui anche durante le guerre in Afghanistan e Iraq i ministri giravano liberamente per Washington senza doversi guardare le spalle, oggi un gran numero di politici è sotto scorta per le continue minacce di morte, spesso estese anche al coniuge e ai figli.
Ora la condanna di Trump riaccende il pericolo della riorganizzazione delle milizie paramilitari dell’ultradestra: un fuoco attenuato ma rimasto sempre vivo sotto la cenere dopo l’assalto al Congresso del 6 gennaio 2021. Per adesso si tratta di violenza verbale delle frange più estreme.
«Io sono un prigioniero politico»
La campagna del leader repubblicano teme che molti elettori moderati possano allontanarsi da Trump più che per la condanna, per il ritorno di un clima di violenza squadrista e minimizza. Critica il servizio della Reuters come una forzatura allarmista e sottolinea che i siti trumpiani hanno regole sul linguaggio violento: gran parte dei post più brutali sono stati rimossi. Ma, di fatto, è stato lo stesso Trump a ridare fiato ai sostenitori della soluzione insurrezione dichiarandosi un prigioniero politico e sostenendo che l’America è, ormai uno Stato fascista: «È la fine del nostro Paese». E a surriscaldare ancor più l’atmosfera evocando una possibile violenza contro lo stesso Trump ci ha pensato Tucker Carlson, il commentatore televisivo a lui più vicino: «Con questa sentenza Donald è ancora più sicuro di vincere. Sempre che non lo ammazzino prima».
Raccolta fondi
Il leader conservatore ha usato una retorica estrema fin dall’inizio dei suoi guai giudiziari per compattare i fan, obbligare i repubblicani dissidenti ad allinearsi in sua difesa e anche per raccogliere fondi. Fin qui questa strategia ha funzionato: Trump ha sbaragliato nelle primarie gli altri aspiranti alla leadership repubblicana e ad aprile per la prima volta ha raccolto 25 milioni di dollari di finanziamenti elettorali più di Biden.
Elettori al bivio
I suoi strateghi pensano che la condanna non cambierà sostanzialmente questa dinamica, anche se ora non si tratta più solo di animare i fedeli, ma di attrarre il variegato mondo di moderati e centristi, essenziali per sconfiggere il presidente democratico. I sondaggi dicono che un 7% di conservatori potrebbe rivedere il suo orientamento su Trump alla luce della sentenza. Ma se otto anni fa, quando vennero fuori casi estremi di sessismo e razzismo dell’allora candidato repubblicano, nella destra si levarono voci che chiesero il suo ritiro, nulla di simile si è verificato oggi.
La scelta di Hogan
Larry Hogan, ex governatore del Maryland e candidato per i repubblicani al Senato è stato l’unico che, pur senza accusare direttamente Trump, ha detto che, per evitare spaccature insanabili nel Paese, bisogna avere rispetto per le decisioni del sistema giudiziario. Gli ha risposto secco il portavoce di Trump, Chris LaCivita: «La tua campagna elettorale è finita». Massimo Gaggi
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