Sam Altman: “In pochi anni l’IA sarà inarrestabile, serve un’agenzia come per l’energia atomica”

DAVOS — Sono le cose che dice: «Non sarà più l’intelligenza a rendere noi uomini unici, l’Intelligenza artificiale sarà molto più intelligente di noi». Ed è come lo dice.

Capita che Sam Altman si prenda qualche secondo per pensare, guardando verso l’alto, ma poi le sue risposte corrono dritte, senza esitazioni. Quelle di chi forse ha già ragionato su tutte le possibili obiezioni, e poi deciso che la direzione da seguire è giusta.

O forse quelle di chi è molto bravo ad assecondare il nostro bisogno di vederla, una direzione: «La tecnologia non va fermata, è l’unica cosa che ci più portare prosperità».

Un anno dal lancio

Piccolo riassunto per i meno attenti: è passato poco più di un anno dal lancio di ChatGPT, la prima applicazione in grado di parlare quasi come un uomo.

E qui a Davos, insieme alle guerre, è il grande tema: si misurano opportunità e rischi, altrettanto enormi, si ragiona sul cambiamento che aspetta economia, lavoro e società, in ogni caso radicale.

Il 39enne Sam Altman, amministratore delegato di OpenAI, la società che ha creato ChatGPT, ma soprattutto il grande modello di algoritmi che lo anima, GPT, è l’uomo dell’anno e il volto dell’AI nel mondo.

(afp)

Completo grigio

Dicono che quando dirigeva YCombinator, l’università di startup più importante della Silicon Valley, raccomandasse ai fondatori di non diventare «quelli che vanno a Davos».

E l’impressione, incontrandolo qui a Davos, è che in questo turbinare di incontri tra potenti non si senta del tutto casa: «Molto meno produttivo», dice bevendo un tè, la voce roca di chi ha parlato a molti, un completo grigio scuro senza cravatta.

Ma ora parlare ai grandi è parte del suo lavoro: «Le istituzioni ragionano sull’approccio migliore per regolare l’AI prima che diventi troppo potente, e questo è importantissimo, sono qui per dare una spinta affinché accada. Abbiamo ancora tempo». Quanto tempo? «Anni, non decenni».

EMMANUEL MACRON (A SINISTRA) CON ALTMAN

EMMANUEL MACRON (A SINISTRA) CON ALTMAN

 (afp)

L’AI Act dell’Europa

Una novità: anche i colossi della Silicon Valley, da sempre allergici alle regole, per l’AI dicono che sono necessarie.

Ma come si norma una tecnologia che si sviluppa veloce come nessuna in passato? L’Europa sarà la prima a mettere dei paletti, con un’ampia normativa chiamata AI Act. Altman dice che deve ancora leggere l’ultima versione, non proprio incoraggiante per le aspirazioni europee di dettare la linea.

Ed è chiaro che il suo approccio è diverso: non normare troppo ma concentrarsi sui grandi rischi, come quello che l’AI venga usata arma, e per cui c’è bisogno di «cooperazione internazionale».

La marea della globalizzazione si ritira, gran parte delle istituzioni internazionali non funziona. Ma mi sembra di vedere comunque una strada

Ha proposto qualcosa di simile all’Agenzia per l’Energia atomica, con ispettori che vigilino sui supercomputer. C’è un’obiezione: sono esplose due bombe prima che l’Agenzia nascesse. E parlare di cooperazione mentre il mondo si divide in blocchi pare utopia: «La marea della globalizzazione si ritira, gran parte delle istituzioni internazionali non funziona. Ma mi sembra di vedere comunque una strada».

Viene anche il dubbio che parlare dei rischi più lontani sia un modo per sviare l’attenzione da quelli già presenti. Per esempio che l’AI, con la sua abilità di generare testi e immagini finti, di parlare e (a volte) convincere, diventi in questo anno di elezioni un potentissimo strumento di disinformazione.

Sul banco degli imputati

Sarebbe un disastro anche per OpenAI, che la porterebbe sul banco degli imputati come fu per Facebook con Cambridge analitica. «È una delle preoccupazioni più grandi per quest’anno, in cui pare che negli Stati Uniti tutti combattano la battaglia finale», dice Altman. «Dobbiamo essere molto attenti e reattivi, per questo abbiamo una nuova squadra di “Risposta elettorale” e abbiamo appena diffuso delle linee guida».

Sarà vietato usare ChatGPT per creare bot che impersonino i candidati, o applicazioni di propaganda elettorale, le immagini create dall’AI dovranno essere timbrate e rese riconoscibili come false.

Altman è un donatore della campagna elettorale di Biden ed è chiaro che non vorrebbe vedere il ritorno di Trump alla Casa Bianca. «Ma penso che l’America starà bene lo stesso, che sia comunque su una traiettoria di lungo termine positiva».

A novembre, il board di OpenAI ha licenziato Altman imputandogli comunicazioni non chiare, ma è tornato al suo posto dopo pochi giorni a furor di popolo e di investitori.

Umano e oltreumano

Ma quell’episodio, ancora oscuro, ha anche moltiplicato i dubbi sulla vera natura di OpenAI. Sulla trasparenza di cui si è sempre fatta promotrice, e sul fatto che la sua originaria missione no profit, cioè sviluppare un AI “generale” di livello umano - o oltreumano - sia ormai secondaria rispetto alle priorità molto profit dei suoi investitori.

A cominciare da Microsoft, il più grande. Altman assicura che la società “crescerà”, che ci sarà maggiore trasparenza. E che il rapporto tra Microsoft e la sua società non è un controllo – come alcune autorità Antitrust ora sospettano – ma “una partnership”.

Ma OpenAI è ancora nella condizione di fermarsi se emergessero rischi troppo grandi nei suoi algoritmi? Oppure gli interessi economici in questa corsa all’oro miliardaria sono troppo grandi?

Gli algoritmi non vanno fermati perché il nostro dovere è rendere il mondo migliore

«OpenAI può decidere di fermarsi – assicura Altman – ma l’intera società non si fermerà, ci sono tanti altri che la stanno sviluppando». Uno su tutti, quello che Altman guarda (e forse anche teme) di più: Google.

La convinzione profonda di Altman però è un’altra, cioè che «L’AI non vada fermata». Anche se è una specie di scatola nera, di cui gli stessi ricercatori di OpenAI capiscono solo in parte il funzionamento.

Perché «il nostro dovere è rendere il mondo migliore e l’unico modo per farlo che non sia un gioco a somma zero, in cui qualcuno vince e qualcuno perde, è il progresso tecnologico».

I ricchi e i poveri

Altri non la pensano così: tante rivoluzioni tecnologiche in passato hanno arricchito pochi – immancabilmente tecno-ottimisti – e impoverito tanti. Secondo il Fondo monetario anche l’AI, se non guidata in una direzione di equità, minaccia di aumentare le diseguaglianze, facendo ricco chi la sviluppa ma rimpiazzando molti posti di lavoro.

Altman e Nadella, l’amministratore delegato di Microsoft, a Davos parlano insieme di questo e le loro risposte si complementano: alcuni lavori spariranno, altri verranno creati, e la società si adatterà, con i dovuti sostegni. In ogni caso, alla vigilia di ogni rivoluzione tecnologica, le previsioni sono sempre state clamorosamente sbagliate.

Non stiamo ancora allenando la prossima e quinta versione di GPT

Ma davvero avremo tempo di adattarci, se tutto – come è possibile - cambierà nel giro di pochi anni? Altman insiste molto sull’idea di progressività.

«Onestamente oggi ChatGPT non serve a molte cose, è molto bravo su alcune e non funziona per la maggior parte», dice. Il focus di OpenAI, per la prossima e quinta versione di GPT («che non stiamo ancora allenando», precisa) è migliorarne la capacità di ragionare, l’intelligenza.

E così progressivamente nelle successive, finché i compiti che può compiere si allargheranno, fino a renderlo il nostro super assistente, e poi magari diventeranno interi lavori, e a quella AI si potrà chiedere di programmare un codice, scoprire nuovi farmaci o perfino di dirigere un’azienda.

La prima versione dell’iPhone

Altman fa l’esempio della prima versione dell’iPhone, che ci parve una meraviglia ma ripresa in mano oggi pare preistoria: ci siamo gradualmente abituati fino a diventarne molto dipendenti.

Ma con l’AI parliamo di un semplice strumento o di qualcosa di diverso? «Questa è una delle cose su cui ho cambiato idea, ho sempre pensato che sarebbe stata una “creatura”, ora penso che sarà fino alla fine solo uno strumento, uno strumento che diventa sempre migliore».

Certo se davvero esisterà uno strumento più intelligente di chi lo ha creato, non potrà che cambiare la percezione stessa che gli uomini hanno di sé. Spostarli un po’ dal centro del mondo. Chiediamo a Altman se è vera una frase che gli hanno attribuito: «Ho abbandonato l’idea che l’uomo sia unico».

Risponde che è vera, ma oggi la correggerebbe: «Direi che l’intelligenza umana non è unica. Ma quello che significa essere umani non diventerà mai parte dell’Intelligenza artificiale. Continueremo a vivere tutta la nostra esperienza umana, con tutto il buono e il cattivo, a innamorarci, ad amare la nostra famiglia, ad andare in vacanza e a lavorare».