Gli agenti «mono uso» e la rete dello spionaggio di Mosca nei Paesi Nato
Decine di illegali sono riusciti a infiltrarsi in Europa: molti sono stati scoperti, molti restano «invisibili». I giochi del Cremlino e le «pedine» di scambio
Sono gli «agenti mono uso»: li utilizzano in una missione e poi se ne disfano senza badare al loro destino. La definizione, coniata secondo il giornalista Florian Flade dall’intelligence, si riferisce ad alcuni elementi reclutati da Mosca per compiere operazioni nei Paesi Nato.
Prima dell’invasione dell’Ucraina i russi hanno infiltrato numerosi illegali, persone — a volte marito e moglie — con un passato costruito a tavolino fingendo di essere sudamericani, greci o provenienti dall’Est europeo. Con queste coperture hanno aperto attività legali (una coppia aveva un hotel in Grecia, una donna gestiva una maglieria, un’altra un negozio d’arte), si sono iscritti a università riuscendo a creare una loro rete di rapporti. Accanto a figure «classiche» si sono mossi i «professionisti» dell’Unità 29155, coinvolti in attività in Occidente, dal caso Skripal (l’attacco con il Novichok) alle esplosioni in depositi di armi nella Repubblica Ceka. Molti sono stati scoperti. In Norvegia, Svezia, Slovenia, ombre finite in manette mentre chissà quante altre restano nascoste, invisibili ai radar delle polizie. Le inchieste hanno solo scalfito un network robusto e, al tempo stesso, evidenziato la profondità delle collusioni. L’evidenza delle complicità è stata sottolineata dalla clamorosa indagine in Austria che ha coinvolto personalità, funzionari, uomini d’affari. Vicenda ancora più grave perché svoltasi sotto gli occhi di tutti.
Il profilo è poi cambiato con l’inasprirsi del conflitto. Per contrastare l’aiuto dell’Alleanza Atlantica a Kiev, gli invasori sono passati ad una nuova fase agganciando pedine spendibili, individui senza storia residenti in Paesi trasformati in obiettivi. Il loro compito: ostacolare il flusso di armi, seguire possibili target, organizzare manovre di disturbo neppure troppo sofisticate oppure essere pronti a provocazioni. Un sicario, invece, ha eliminato in Spagna il pilota russo che aveva «defezionato» a bordo del suo elicottero in cambio di una ricompensa. Delitto, per ora, senza colpevoli forse eseguito da un criminale comune.
Il ripetersi di episodi, compresi alcuni dove le cause di roghi oscillano tra l’atto doloso e l’incidente, ha spinto i servizi di sicurezza a intensificare la sorveglianza, a non dare nulla per scontato, ad analizzare i rischi potenziali. Intensa la collaborazione tra governi, necessaria per intercettare figure poche note in grado però di provocare danni. E la vigilanza ha portato a diversi fermi, in Polonia — la principale retrovia logistica per l’Ucraina — e in Germania, dove la polizia ha arrestato un ucraino, un russo, un armeno (non è però certo la loro nazionalità) che stavano preparando «qualcosa» con un altro ucraino. La vittima era stata agganciata in modo non troppo scaltro da un uomo che si era presentato come emissario dell’intelligence di Kiev. Versione fasulla dietro il quale, secondo indiscrezioni tedesche, si muoveva il terzetto.
Gli esperti ritengono che la Russia non sia preoccupata di eventuali rovesci. Per diverse ragioni. Primo: il Cremlino si considera in guerra totale e dunque mette in bilancio un costo. Secondo: in alcuni casi sono mercenari sacrificabili, non sono in possesso di informazioni delicate e l’eventuale cattura non compromette la rete. Terzo: le spie preziose potranno magari essere recuperate con uno scambio (da qui la presa di ostaggi, come il giornalista del Wall Street Journal chiuso in una prigione russa). Quarto: il valore di un agente è anteposto al risultato finale, tanto più in una stagione di conflitti.