Il patto di Paolini-Errani dietro l'oro nel doppio del tennis alle Olimpiadi: la scommessa
Jasmine e Sara, tenniste diversissime in campo e fuori eppure complementari. La strategia del sorriso per battere paura ed errori
Ci sono voluti un secolo e un sorriso, per vedere quelle racchette che volavano in aria. Poco importa se lo Chatrier era mezzo vuoto, Anche questo è oro, il primo nella storia del nostro tennis. Sara Errani e Jasmine ce l’hanno fatta, con le unghie e con i denti, battendo di testa e voglia l’inedita coppia russa composta da Mirra Andreeva e Diana Shnaider, che hanno infine ceduto sotto il peso di uno stadio per pochi intimi ma schierato con le nostre atlete.
«Facciamo il doppio insieme? Proviamoci, per l’Olimpiade». Un anno fa, due donne così diverse tra loro in campo e fuori da risultare quasi complementari, avevano stretto un patto. Volevano Parigi 2024. Dev’essere per questo che nel primo set hanno sentito il peso della responsabilità, il ruolo delle favorite contro due ragazzine che tiravano a tutto braccia, la cosa migliore di cui sono capaci, consapevoli della loro giovane età di avere davanti tutta la loro vita tennistica. L’inizio è stato disastroso, con Jasmine che sbagliava dritti a ripetizione. «Ero parecchia tesa, faticavo a colpire, continuavo a dirmi svegliati, svegliati, ma le gambe restavano addormentate». Dopo il primo set, perso nettamente, sembrava che il treno fosse ormai passato. Ma al cambio di campo, ancora prima di sedersi, Sara ha cominciato a sorridere alla sua compagna. In tribuna, noi ci chiedevamo cosa avessero da stare così allegre, loro invece stavano girando la partita. «L’ho fatto di proposito, non è che ero impazzita» racconta Sara. «Mi sono accorto che Jasmine non riusciva a sbloccarsi e le ho detto siamo qui, vediamo di godercela».
Non ce ne voglia la nostra giocatrice più forte, ma questa è soprattutto la vittoria della imperfetta e umanissima Sara Errani, che era stata dimenticata da tutti, mentre lei resisteva alle stagioni, cercando di risalire la china. Derisa per il suo servizio, per le sue debolezze, eppure da ieri titolare di un Golden Slam in doppio, traguardo riservato agli dèi dell’Olimpo. «Per questo, la dedica è a me stessa. Ho sofferto tanto, ma per me il tennis è un modo di vivere». In quanto «stratega», si è inventata prima il sorriso e poi la mossa che hanno invertito l’inerzia del match. «In tutto il torneo, sono sempre andata a rete prima possibile. Ma non stava funzionando. Allora mi sono detta: sto a fondo anch’io. Abbiamo capito subito che così le abbiamo obbligate a pensare, facendole cadere dalla nuvola dove si trovavano».
Il secondo set come il primo, ma con ruoli invertiti. Nel super tie-break, tutto si è giocato su un punto, quello dell’8-5 per le azzurre, dove Jasmine e Sara hanno sfidato le leggi della fisica con due recuperi impossibili. Un minuto dopo, le racchette volavano in aria.
Il tennis italiano esce da trionfatore da questi Giochi. Nessuna altra nazione può vantare un oro e un bronzo. In tribuna, a sottolineare l’importanza di questo trionfo, abbiamo visto il presidente del Coni Giovanni Malagò stringere la mano ad Angelo Binaghi, presidente della Federazione tennis. Per chi si diletta con la politica sportiva è come se si fossero salutati Arafat e Rabin. Ma per la pace tra i due storici litiganti, se ne riparla più avanti. «Non potevo sottrarmi» dice Binaghi, che è tornato a chiedere l’intervento del governo per vedere i match in chiaro. «Forse Malagò dovrebbe fare uno sforzo ulteriore, e riconoscere pubblicamente quanto bene il tennis ha fatto in questi anni allo sport italiano». Sara e Jasmine hanno vinto l’oro. Ma neanche loro possono fare miracoli.