«Mio figlio Ievgheni operato al cervello è stato svegliato dalle esplosioni all'ospedale di Kiev»

diLorenzo Cremonesi

«Hanno operato mio figlio poco prima dell'attacco, e adesso non c’è più nessuno per visitarlo». I medici: ora mancano strutture specializzate

«Il mio   Ievgheni operato  al cervello è stato svegliato  dalle esplosioni»

Nel rifugio dell'ospedale colpito a Kiev, tra i genitori e i pazienti

DAL NOSTRO INVIATO
KIEV - «Vivi per un vero miracolo», spiegano Nadia e Sergei Hadjeoglo, che hanno 30 e 26 anni e per un soffio sono scampati all’esplosione del missile russo assieme a loro figlio Maxim di 8. «Stavamo nel corridoio della palazzina distrutta per fare quattro passi con Maxim. Ha subito il trapianto di fegato due settimane fa e i medici consigliano il movimento. Alla prima sirena abbiamo scelto di non correre rischi e siamo stati tra i primi a scendere nel rifugio. Eravamo ancora sulle scale, già sotto, quando abbiamo avvertito lo spostamento d’aria dell’impatto e il fracasso sulle nostre teste», raccontano. 

Li incontriamo nel rifugio dell’ala meno danneggiata dell’ospedale pediatrico. Maxim è sdraiato sul lettino. Sta fermo, con una grande bendatura attorno allo stomaco, ma gli occhi sono vigili. Vengono da un paesino della provincia di Odessa a una decina di chilometri dalla Moldavia, dove Sergei fa il fornaio. «Siamo fortunati. Noi la guerra non l’avevamo mai vista da vicino sino ad ora. Ma qui a Kiev siamo terrorizzati, appena possibile torniamo a casa. Ci pare impossibile che i russi possano bombardare i bambini malati, sono animali, vanno combattuti in ogni modo», dicono e non sono gli unici a pensarla così.

«Putin usa la strategia degli attacchi contro gli ospedali con l’evidente intenzione di fiaccarci. Si chiama guerra psicologica. Ma non si rende conto che in questo modo non fa che aizzare la rabbia popolare? Lo si vede anche dal grande numero di volontari che sono accorsi ad aiutare», commenta il dottor Valery, 43 anni, microchirurgo che si aggira tra polvere e calcinacci ancora con il camice blu della sala operatoria. 

Poco lontano Ielena, 32 anni, se ne sta seduta su una panchina della sala d’aspetto nella speranza di sapere dove potrà portare il figlio Ievgheni, che ha due anni ed è stato operato poche ore fa al cervello. «Ha un tumore. È stato il fragore del missile a svegliarlo dall’anestesia, ma poi si è come riassopito. Non so come sia andata l’operazione. Di sicuro qui non c’è più nessuno per visitarlo», spiega con una voce che è allo stesso tempo dolce e rassegnata. Con lei c’è la mamma Liuba, che alle bombe è abituata. «Noi veniamo da un villaggio vicino a Kherson. I russi hanno devastato le nostre case. Ora speriamo che i medici ci dicano presto dove potremo andare col nostro bambino», spiega. 

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Ievgheni se ne sta semiaddormentato in braccio alla madre. Sono come sospesi, vittime tra le vittime di una tragedia troppo grande per loro. Ma di una cosa le due donne sono sicure: «Putin è un pazzo, un criminale. Dice che viene a dare la caccia ai nazisti in Ucraina, ma è lui a comportarsi da nazista, senza alcun rispetto per civili, bambini e malati». Poco dopo arriva un gruppo di infermiere con alcune volontarie, cercano i bambini dispersi, li caricano sulle carrozzelle e li portano in un rifugio sottoterra. L’ospedale sta evacuando i casi più gravi, molti vengono trasferiti verso Leopoli e Odessa. Dice una di loro: «A Kiev non ci sono più ospedali pediatrici specializzati».

9 luglio 2024 ( modifica il 9 luglio 2024 | 08:16)

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