
Ap premia come foto dell’anno lo scatto che ritrae il corpo di Shani Louk uccisa da Hamas: critiche social. Ma il padre non le condivide
NEW YORK – L’immagine del suo cadavere martoriato e seminudo portato via dai terroristi di Hamas la mattina del 7 ottobre e poi esibito nelle strade di Gaza dai miliziani in parata come bottino di guerra, è diventato uno dei simboli della violenza di quella tragica giornata. Shani Louk, la 23enne tatuatrice tedesca-israeliana dal sorriso aperto e i lunghissimi capelli annodati nei dread era infatti una dei 260 giovani massacrati durante l’attacco al rave Supernova nel deserto del Nagev. La sua tragica sorte ha commosso il mondo. Ora però l’assegnazione di un prestigioso premio di fotografia a quello stesso scatto lo sta facendo indignare.
Le accuse ad Ali Mahmud
Il Reynolds Journalism Institute dell’Università del Missouri che si vanta di avere il concorso di fotogiornalismo più antico del mondo, ha infatti assegnato il premio per la categoria “Team Picture Story of the Year” – foto dell’anno scattate in squadra – all’Associated Press. Premiando una raccolta di 20 scatti, e fra queste anche immagini di Gaza in fiamme, aperte proprio da quella foto, terribile, del corpo della giovane Louk scattata appunto da un collaboratore di Ap: il freelance palestinese Ali Mahmud. Un reporter che in seguito è stato accusato da Israele di essere “embedded” con Hamas, di essere stato cioè preallertato dell’attacco e di aver avuto per quello l’occasione di scattare foto di scene terribili, insieme ad altri tre colleghi che poi hanno venduto gli scatti, oltre che ad Ap, a Cnn e Reuters. Contro di lui una causa è in corso, anche se ha sempre negato.
«Mi hanno svegliato i colpi, ho trovato la breccia aperta, sono uscito» ha infatti raccontato in seguito.

Dopo l’annuncio del premio, i curatori hanno pubblicato la foto sul sito web e sulla pagina Instagram del Reynolds: ricevendo però in poche ore migliaia di commenti negativi. Un’indignazione che ha fatto rapidamente il giro del mondo, viaggiando via social: “Un’oltraggiosa profanazione della vita ebraica”, ha dunque scritto un utente indignato su X. “Sono disgustato, scioccato infuriato che a questa immagine di Shani Louk assassinata sia assegnato un premio come foto dell’anno”, posta un altro. E ancora: “Questo è quanto valgono le donne israeliane per voi?”.
I responsabili del premio hanno dunque provato a difendersi: “Questa categoria mira a riconoscere lo sforzo collaborativo di uno staff fotografico nel coprire un singolo evento”, hanno scritto sul sito. “È una narrazione. Documentare le ultime notizie in tutto il mondo, non importa quanto orribili, è il nostro lavoro. Senza Ap e altre testate giornalistiche, il mondo non avrebbe saputo cosa stava succedendo il 7 ottobre”.

A rispondere, ci ha dunque pensato Hen Mazzig del Tel Aviv Institute Social Media Laboratory: «Le foto che mostrano violenza e morte possono essere degne di nota o importanti quando umanizzano i morti o galvanizzano il pubblico. La foto vincitrice di quel contesto non fa nessuna delle due cose; disumanizza Shani che non è nemmeno nominata, ritraumatizza la sua famiglia e legittima le azioni di Hamas con il pretesto della neutralità giornalistica».
La posizione del padre
Ma in realtà Nissim Louk, padre di Shani, sostiene esattamente il contrario: «Sono felice che lo scatto sia stato selezionato e premiato. È una delle immagini più importanti degli ultimi 50 anni. Immagine capace di plasmare la memoria umana. Pesa come quella del bambino ebreo con le mani alzate o dei paracadutisti al Muro del Pianto. Simboleggia un'epoca. Questa documentazione di Shani e il video di Noa Argamani portata via su una motocicletta sono i simboli di quella tragedia. Tra 100 anni, chi le guarderà saprà cosa è successo qui. Tutti diranno immediatamente questa era Shani».