Trump non ha i soldi per pagare la cauzione: ora rischia la confisca dei beni
Washington - Donald Trump non è riuscito a trovare i 454 milioni di dollari di cui avrebbe bisogno, per pagare la penale imposta dal giudice che ha condotto il processo civile sulle frodi fiscali commesse dalle sue compagnie. Questo fatto imbarazzante, confermato dai suoi avvocati, porta con sé almeno tre notizie negative per l’ex presidente: primo, non è ricco come ha cercato di far credere; secondo, da imprenditore non ha la credibilità necessaria ad ottenere un prestito di queste dimensioni; terzo, dal 25 marzo in poi rischia il pignoramento dei suoi beni, se la Corte d’Appello di New York non interverrà a fermare l’esecuzione della sentenza fino al completamento del suo ricorso.
Trump è stato accusato dalla procuratrice di New York Letitia James di aver truccato i valori dei beni delle sue compagnie, per ottenere prestiti favorevoli. Il giudice Arthur Engoron lo ha considerato colpevole nel processo civile, condannandolo a pagare una penale che tra la sentenza e gli interessi arriva a quasi mezzo miliardo di dollari, crescendo ogni giorno se non la salda. A questo vanno aggiunti i 91,6 milioni già depositati per fare ricorso contro la condanna civile per molestie sessuali e diffamazione della giornalista Jean Carroll.
Ieri i suoi avvocati hanno informato il tribunale che nonostante "i suoi diligenti sforzi", la ricerca di 454 milioni si è rivelata una "impossibilità pratica". Attraverso quattro broker, ha bussato alla porta di circa 30 compagnie di fideiussioni, ma non ha trovato nessuno disposto a prestargli una somma così ingente, probabilmente perché non lo considerano abbastanza affidabile per ripagarla. Quindi gli avvocati hanno chiesto alla corte di accettare un deposito da 100 milioni, per sospendere l’esecuzione della sentenza in attesa dell’appello. La scadenza stabilita da Engoron per il versamento è il 25 marzo, perciò da quella data in poi James potrebbe chiedere il pignoramento dei beni di Donald, come ha sempre minacciato di fare. Se il giudice non accetterà la proposta degli avvocati, e la Corte d’Appello non interverrà a bloccare la sentenza, il giorno dopo l’ufficiale giudiziario potrebbe presentarsi alla Trump Tower per mettere i sigilli, o magari a Mar a Lago.
Comunque vada a finire, la questione è molto imbarazzante per l’ex presidente. Lui ha sempre puntato sul suo successo come imprenditore, e sulla sua ricchezza, per promuovere la propria carriera politica. È comprensibile che in una situazione del genere cerchi di ottenere prestiti, invece di usare i suoi soldi personali, ma l’ammissione dei suoi avvocati dimostra che non vale 454 milioni. Il fatto che 30 compagnie si siano rifiutate di prestarglieli prova che non lo ritengono affidabile come imprenditore, nonostante il 5 novembre potrebbe essere rieletto presidente, e questa rappresenta per lui una condanna forse peggiore di quella del tribunale. Il pignoramento dei beni aggiungerebbe l’infamia all’imbarazzo. Trump certamente la userebbe per presentarsi ancora come vittima di un complotto, strategia che lo ha aiutato a vincere le primarie. Però l’impatto politico sugli elettori indipendenti potrebbe risultare diverso, per non parlare del problema pratico di ritrovarsi quasi in bancarotta.