Più di 500 milioni di dollari tra multe e interessi. Ecco come Trump può cercare di saldare il debito
NEW YORK - Non finirà in bancarotta e non farà mai parte della classe operaia, ma dopo l’ultima condanna Donald Trump sarà costretto a fare molti calcoli per tenere in piedi le sue enormi risorse. Il giudice del tribunale di New York lo ha ritenuto colpevole di frode fiscale e finanziaria e condannato al pagamento di più di 350 milioni di dollari come risarcimento danni nei confronti dello Stato di New York.
Decisione contro la quale Trump è intervenuto durante un comizio nel Michigan definendola una "manovra di interferenza elettorale" decisa da un giudice che fa parte di una cospirazione "di sinistra" che mira a impedirgli di diventare nuovamente presidente.
Ma non è tutto. A questa somma dovrebbero aggiungersi un centinaio di milioni di interessi pregressi, maturati dal 2019, rispetto ai 168 milioni che l’ex presidente degli Stati Uniti avrebbe risparmiato gonfiando il valore degli asset per ottenere prestiti di centinaia di milioni dalle banche. Il totale sale a circa 450 milioni, a cui aggiungere gli 83,3 che Trump deve pagare alla scrittrice Jean Carroll, per averla diffamata.
Sono in tutto più di 530 milioni di dollari, un quinto del patrimonio da 2,6 miliardi che Forbes gli attribuisce. Il tycoon ha già annunciato che ricorrerà in appello, ma entro trenta giorni dovrà depositare la cifra da pagare. La domanda adesso è una: Trump ha tutta quella liquidità?
Ci sono quattro ipotesi. Ipotesi 1: il ‘bond’. Secondo gli esperti finanziari che in queste ore si stanno ponendo la stessa domanda, Trump potrebbe presentare un ‘bond’ garantito da una terza parte. Significa che nel caso l’appello venisse respinto, e il tycoon non fosse in grado di pagare, ci penserebbe la ‘terza parte’ a versare il dovuto. Questa opzione farebbe lievitare i costi: per garantirsi un ‘bond’, come ben sa chi a New York deve garantire di poter pagare uno dei super affitti per un appartamento a Manhattan, comporta un incremento di almeno il dieci per cento sul totale. In questo caso Trump dovrebbe pagare al garante 35 milioni, ma potrebbero arrivare a più di 40. Soldi che, anche vincendo il ricorso, non riavrebbe più. Quando a maggio dell’anno scorso, nella prima causa per diffamazione, venne condannato a versare 5 milioni di dollari a favore di Carroll, il tycoon mise da parte subito i soldi, evitando il ‘bond’ e la spesa aggiuntiva di 55 mila dollari.
Ipotesi 2: vendita di asset. Trump ha dichiarato di avere 400 milioni di dollari cash, ma nessun media è stato in grado di verificarlo. Considerati gli interessi e la doppia condanna, non basterebbero. I soldi potrebbero arrivare proprio dal patrimonio immobiliare che Trump ha a New York, valutato intorno ai 490 milioni. Soldi a cui aggiungere il contante in cassa. Tra i beni che verrebbero messi in vendita c’è la Trump Tower sulla Fifth Avenue, a Manhattan. Il grattacielo a pochi isolati da Central Park è l’edificio a cui il tycoon è più legato sentimentalmente, perché lo considera la sua roccaforte di lusso piantata nel bel mezzo del cuore liberal di una città che non lo ha mai amato. Ma vendere in così poco tempo non è facile. E, probabilmente, non lo vuole neanche lui.
Ipotesi 3: Truth. La terza ipotesi che è stata fatta nelle ultime ore riguarda Truth, il social di proprietà della Trump Media & Technology Group. Di recente è emersa la volontà di quotare la piattaforma a Wall Street, valutando la compagnia quattro miliardi di dollari. Ma anche in questo caso, spiegano gli analisti, non si può pensare a un ingresso sul mercato per vendere azioni, raccogliere i soldi e pagare i debiti. Nessun investitore accetterebbe un contratto che prevedesse questa possibilità.
Ipotesi 4: le donazioni. L’unica via d’uscita sarebbe lanciare una raccolta fondi tra i sostenitori trumpiani. In fondo è già successo: il tycoon ha usato due comitati di raccolta donazioni per la sua campagna - Save America e Make America Great Again - per finanziare gli onorari di decine di milioni di dollari dei suoi avvocati che lo rappresentano nelle corti da anni. Soltanto l’anno scorso Save America ha coperto 40 milioni di spese legali. E altri quattro processi sono attesi nei prossimi mesi. Trump ha sempre definito i suoi guai giudiziari “intereferenze elettorali” e tentativi per bloccare il suo ritorno alla Casa Bianca. Può bastare per spostare legalmente centinaia di milioni donati dai sostenitori per pagare i debiti? Una legge federale vieta ai candidati di usare i fondi della campagna per uso personale. Giustificare come spese elettorali i risarcimenti per diffamazione e frode fiscale appare quindi difficile. Si aprirebbe un altro fronte legale, con nuove spese.
Intanto l’ex presidente ha indicato Lara Trump, moglie del figlio Eric, per il ruolo di co-presidente del Partito. Una persona di famiglia al vertice potrebbe aiutare il tycoon a utilizzare il partito e le sue casse per sostenerlo nella battaglia contro il “sistema giudiziario d’America sotto attacco”? Anche qui non è facile. Tutti scenari possibili e impossibili. Ma su un fatto, chi conosce Trump, non ha dubbi: lui farà di tutto per non pagare di tasca propria.