Il piano Gallant per Gaza: task force sauditi-egiziani e un’autorità palestinese

Roma — Quando i cannoni cesseranno di sparare, la Striscia di Gaza sarà amministrata da «un’autorità palestinese» e la ricostruzione sarà affidata a una task force internazionale, a guida statunitense, che includerà Unione Europea, Egitto e Arabia Saudita. L’aspetto sicurezza, invece, rimarrà sotto la responsabilità di Israele. È quanto prevede il piano per il day after elaborato dal ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant e divulgato in queste ore, dopo le pressioni dei partner occidentali che da settimane chiedono un progetto per il dopo Hamas. Il ministro ha anche spiegato come lo Stato ebraico intende condurre la fase tre del conflitto. Tuttavia, alla destra messianica il piano non piace. E il gabinetto di sicurezza convocato giovedì notte da Netanyahu per discuterlo si è trasformato in una corrida, tanto da costringere il premier, dopo tre ore di urla, a sciogliere la riunione.

Il piano Gallant

Il gabinetto era subito partito male. Ai ministri Itamar Ben-Gvir (Sicurezza nazionale) e Bezalel Smotrich (Finanze) non era andato giù che Gallant avesse diffuso alla stampa i punti del piano. «I residenti di Gaza sono palestinesi, quindi l’amministrazione va affidata a un’autorità palestinese», aveva spiegato il ministro della Difesa. «Israele manterrà libertà di azione per garantire la sicurezza, ma è escluso il ritorno degli insediamenti israeliani nella Striscia». E già questo, per Ben-Gvir e Smotrich che spingono per cacciare i palestinesi dalle proprie terre e spostarli altrove, non va bene.

La task force internazionale

Secondo il piano, la ricostruzione delle città distrutte dai bombardamenti israeliani deve essere presa in carico da una task force internazionale, a guida americana, con dentro l’Unione Europea e i partner regionali come Egitto e Arabia Saudita. A quest’ultimo verrebbe ritagliato il ruolo di “porta di ingresso” per la Striscia. Il ministro della Difesa non ha fornito dettagli su cosa intenda per «un’autorità palestinese», cui sarà affidato il controllo amministrativo. Si è limitato a dire che dovrà essere «non ostile» a Israele e «capace di ripristinare le strutture già esistenti».

Il piano Gallant ha il sostegno degli Stati Uniti, e non a caso viene divulgato alla vigilia del tour in Medio Oriente del segretario di Stato americano Blinken. Tuttavia, da Ramallah è già arrivata la bocciatura. L’Autorità nazionale palestinese fa sapere che la priorità è «la fine dell’aggressione israeliana», sottolinea l’importanza «dell’iniziativa di pace araba», e punta «al riconoscimento dello Stato di Palestina con Gerusalemme capitale». Netanyahu, nelle settimane scorse, aveva escluso l’ipotesi di coinvolgere l’Anp dopo il cessate il fuoco.

Come cambia la guerra

Il ministro Gallant ha anche delineato la nuova strategia delle forze armate israeliane in accordo con la fase tre «a bassa intensità» (la fase uno erano stati i raid aerei subito dopo l’attentato del 7 ottobre, la due era l’invasione di terra iniziata successivamente), come aveva chiesto Biden: nella parte Nord della Striscia «più operazioni mirate, con raid aerei, demolizione di tunnel, uso delle forze speciali», a Sud, dove sono rifugiati quasi tutti i 2,3 milioni di palestinesi, «la caccia ai capi di Hamas e la ricerca degli ostaggi continuerà fin quando sarà necessario». E con operazioni su larga scala come quelle attuali, che hanno provocato 23 mila vittime.

La lite nel governo

Questo piano, come detto, non piace alla destra messianica. Poco prima che cominciasse la discussione al gabinetto di sicurezza, però, quattro ministri (tra cui Ben-Gvir e Smotrich) si sono messi a criticare duramente il capo di Stato Maggiore Herzi Halevi, colpevole ai loro occhi di volere una commissione d’inchiesta dell’Esercito a guerra in corso che faccia luce sugli errori del 7 ottobre e che includa Shaul Mofaz, ministro della Difesa nel 2005 al tempo del ritiro da Gaza. Dopo tre ore di confronto, Netanyahu ha chiuso i lavori rivolgendo una frase a Halevi che la dice lunga sul suo gradimento per la commissione. «A volte i ministri vanno ascoltati...». Quanto basta al leader dell’opposizione, Yair Lapid, per chiedere le dimissioni di Bibi. «Questo governo è pericoloso».