Economia dollarizzata e privatizzazioni: la ricetta Milei per risollevare l’Argentina ha precedenti disastrosi

Quale ricetta miracolistica avrà in tasca Javier Milei, eletto ieri presidente dell’Argentina, per raddrizzare la situazione economica di un Paese che ha contabilizzato in ottobre un tasso di inflazione del 142,7% (dal 138,3 di settembre) e in cui l’inflazione stessa è stata in media fra il 1944 e il 2023 del 189,81% con punte del 20.262,8% nel marzo 1990? Un Paese in cui lo stesso governo – tramite l’agenzia ufficiale Indec - dichiara seccamente “povero” (significa che il più il più delle volte è al di sotto del livello di sussistenza) il 40% della popolazione (46 milioni in totale)? Eppure Milei sfoggia il più rutilante degli ottimismi della volontà e dichiara di avere in tasca due risposte: dollarizzazione e privatizzazioni. Entrambe hanno diversi precedenti, tutti finiti disastrosamente.

I rischi di una dollarizzazione dell’economia

Dollarizzare un’economia con un tale tasso di inflazione, in cui la valuta si svaluta sistematicamente del 40-50% ogni anno, è un’operazione evidentemente destinata al fallimento. E infatti dal 1992 al 2002 fu tentato l’ultimo degli esperimenti del genere (cambio fisso 1:1 con il dollaro, il cosiddetto currency board): andò a finire che dopo infinite sofferenze, sganciato finalmente dal dollaro, il peso fu sostituito dal nuovo peso con un rapporto di 1 a 10 miliardi di pesos, e il Paese visse uno dei nove fallimenti che l’hanno martirizzato dal dopoguerra. Questa volta Milei vuole fare le cose in grande: abolire del tutto il peso, adottare il dollaro per ogni transazione e con l’occasione – parole sue - «bruciare la Banca centrale». Oppure, a seconda dei giorni, sempre parole sue, «mandare ad infrangersi contro un’enorme pentolaccia piena d’acqua nel giorno del mio compleanno».

Strada in salita per le privatizzazioni

Privatizzare, è la seconda parola d’ordine. Che implica innanzitutto tagliare le generosissime elargizioni assistenziali pubbliche “peroniste” che storicamente caratterizzano il Paese. Sono stati dichiaratamente peronisti, ovvero iper-populisti, tre degli ultimi quattro presidenti: Nestor Kirchner dal 2003 al 2007, Cristina Fernandez dal 2007 al 2015 e Alberto Fernandez dal 2019 a ieri. L’unica parentesi liberal-moderata è stata quella di Mauricio Macri dal 2015 al 2019, durante la quale furono effettivamente tentate alcune riforme economiche nel segno dell’ortodossia e della razionalità, che per un breve periodo sembrarono interrompere il circolo vizioso di sussidi all’economia, di spesa pubblica fuori controllo, di entrate tributarie scarse e irregolari. Nulla però salvò il Paese, schiacciato dai debiti e dall’inflazione, e il 2019 si chiuse ancora con una profonda recessione (-3,9% il Pil) che impedì la riconferma di Macri.

Fu allora eletto Fernandez (nessuna parentela con Cristina che invece era la vedova di Kirchner) e molte riforme di impronta rigorista vennero rapidamente abbandonate per tornare all’isolazionismo e al sovranismo. Fernandez, uomo di destra, è riuscito perfino a scontrarsi con Bolsonaro, e con gli Stati Uniti non ha mai avuto buoni rapporti. Quest’ultimo problema ha reso difficile ristrutturare un debito di 100 miliardi di dollari con investitori esteri (parte ancora retaggio dell’annosa questione dei “bond argentini” in cui hanno perso somme cospicue anche parecchi italiani), problema tuttora esistente, ai quali si è aggiunto – l’aveva negoziato già Macri - un prestito di 45 miliardi di dollari del Fondo Monetario che ha attraversato intonso tutti gli anni della presidenza Fernandez e ora passa nelle mani di Milei.

Inutile dire che finché non comincerà la restituzione di quel prestito, dal Fmi non uscirà più neanche un dollaro a favore delle disastrate finanze argentine, a meno di accordi politici superiori ma allora andrebbe ricapitalizzato lo stesso Fondo con interventi soprattutto della Cina e della stessa America: Milei ha già fatto capire che conterà su Trump se ce la farà a tornare alla Casa Bianca.

Privatizzare è la seconda parola d’ordine dell’era Milei. Teoricamente, dopo mezzo secolo di peronismo e di statalismo che ha prosciugato le casse pubbliche, da privatizzare c’è molto: aeroporti, strade, porti, infrastrutture. Persino le squadre di calcio, che sono associazioni senza fine di lucro e come tali praticamente esentasse. Milei ha già detto che devono subito trasformarsi in società per azioni, e il Boca Juniors ha già risposto che nessun caso verrà meno alla sua missione sociale, di pacificazione e di valorizzazione della pratica atletica. Quanto alla mitica Bombonera, lo stadio della squadra a Buenos Aires “non alzeremo per nessun motivo i prezzi dei biglietti”. In questo clima, Milei affronta il discorso delle privatizzazioni.