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Pace e stabilità mondiale compaiono sempre negli auspici della politica estera di Xi Jinping. Ma poi, quando a Pechino viene chiesto di operare concretamente per disinnescare una crisi, la risposta è invariabilmente poco impegnata, se non ambigua. E magari si scopre che ci sono settori dell’economia cinese che traggono vantaggio dai «fronti caldi» (i grandi affari commerciali con la Russia sono la prova più scoperta). È successo di nuovo per il Mar Rosso. Gli Stati Uniti hanno sollecitato la Cina a usare la sua influenza sull’Iran affinché la teocrazia islamica prema a propria volta sugli Houthi dello Yemen e li convinca a fermare il tiro missilistico al bersaglio contro la flotta mondiale di navi portacontainer e petroliere. I cinesi non hanno dato molte speranze. Il presidente cinese Xi Jinping
- «Tutte le parti interessate dovrebbero assicurare la libera navigazione nel Mar Rosso», ha detto per settimane il Ministero degli Esteri cinese. Dopo la nuova richiesta ufficiale americana, comunicata dal consigliere per la sicurezza nazionale Jake Sullivan e dal segretario di Stato Antony Blinken, Pechino ha un po’ rinvigorito la sua posizione, affermando che «le azioni di disturbo contro le navi civili» dovrebbero cessare. Poi però, i cinesi hanno sparato un paio di precisazioni polemiche contro l’Occidente: «Le parti interessate dovrebbero evitare di aggiungere benzina alle fiamme, visto che il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite non ha mai autorizzato l’uso della forza in Yemen».
- La precisazione è una critica agli Stati Uniti e alla Gran Bretagna che hanno condotto azioni punitive nei confronti degli Houthi. In una seconda puntualizzazione critica verso l’America, i cinesi hanno ricordato che la crisi nel Mar Rosso è una «manifestazione dell’allargamento del conflitto a Gaza». C’è poi il versante commerciale della vicenda.
- Mentre le grandi compagnie di navigazione girano al largo dal Mar Rosso per evitare i missili degli Houthi (già 33 cargo sono stati attaccati da novembre), a Londra la Lloyd’s List Intelligence ha rilevato che diversi piccoli armatori che battono bandiera cinese hanno cambiato rotta proprio per passare nel Mar Rosso, utilizzando in particolare gli scali di Doraleh a Gibuti, Hodeidah nello Yemen e Gedda in Arabia Saudita. La quota di portacontainer cinesi nel Mar Rosso nelle due prime settimane di gennaio è salita al 28% del totale, rispetto al 15% di prima della crisi. «La spiegazione più semplice di questa corsa dei cinesi nel Mar Rosso è che stanno cercando di sfruttare commercialmente la loro relativa invulnerabilità agli attacchi», ha detto al Financial Times Shen Cichen, esperto di intelligence dei Lloyd’s. L’immunità cinese alle imboscate degli Houthi sarebbe causata dal buon rapporto tra Pechino e Teheran, che è il grande protettore della fazione yemenita.
- Un gioco remunerativo, perché le società cinesi godono dei prezzi maggiorati per il passaggio su una rotta calda. Ma una partita comunque pericolosa, alla quale partecipano compagnie di navigazione minori della Cina, come Transfar Shipping di Qingdao nello Shandong, CU Lines basata nell’isola di Hainan e Sea Legend ancora di Qingdao. In particolare, la Sea Legend, praticamente sconosciuta, ha lanciato a inizio gennaio un servizio regolare con sette portacontainer sulla rotta del Mar Rosso, dalla Cina alla Turchia. Sea Legend sostiene di avere garanzie di sicurezza fornite da unità della Marina militare di Pechino e a ogni buon conto i comandanti dei suoi cargo segnalano sui sistemi satellitari di essere cinesi di godere dunque della protezione iraniana. Un gioco comunque rischioso, perché nelle acque roventi del Mar Rosso il pericolo è elevato per tutti, amici, nemici, neutrali e opportunisti. I colossi cinesi come Cosco, che ha la quarta flotta mondiale per numero di navi, hanno deciso di girare al largo, allungando di un paio di settimane i tempi del viaggio dalla Cina all’Europa.
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