Matteo Falcinelli, gli sfottò in cella delle guardie: «Marcirai qui dentro, non hai diritti»

diFulvio Fiano

Il calvario del 25enne dopo l'arresto. Senza avvocato, ai due amici giunti alla stazione di polizia è stato impedito di vederlo: «Mi sentivo una pedina in mano ad altri»

«Quando mi hanno portato in carcere avevo perso ogni speranza: non potevo telefonare a nessuno, mi sono sentito abbandonato nel dolore e nel freddo di quella prigione. Pensavo solo: “Ma qualcuno saprà che sono qui? Che fine farò? Resterò qui per sempre”. È stato difficile, tanto difficile». Così Matteo Falcinelli raccontava a Qn, prima che gli avvocati gli vietassero ogni intervista per non compromettere il suo percorso giudiziario ormai quasi risolto, le ore successive al suo arresto. E per incredibile che possa apparire, la brutalità di quei momenti, con i polsi legati con le cinghie alle caviglie dietro la schiena nella camera di sicurezza della stazione di polizia mostrati dalle bodycam degli agenti, potrebbero non essere la parte più grave del trattamento subito dal 25enne di Spoleto la notte tra il 24 e il 25 febbraio scorso e nei giorni immediatamente successivi.

Il racconto dello studente

C’è infatti un intero capitolo delle vessazioni paragonabili a torture che il ragazzo ha raccontato e sul quale la madre Vlasta Studenicova e i legali statunitensi e italiani stanno raccogliendo materiale da includere in una denuncia. Un lavoro assai delicato perché in base alle ipotesi formulate ci si deve rivolgere a uno specifico ufficio giudiziario e quindi va calibrato bene il tiro per non sprecare tutto il lavoro fatto.

La notte in cella

Matteo entra nella stazione di North Miami Beach alle 3.38 del mattino del 25, quando viene registrato ufficialmente nel sistema informatico. La lite nel locale di Biscane Bay avviene intorno alle 22.30 e per 18 ore nessun amico o familiare avrà più sue notizie. Qui entrano in gioco due compagni di università, due amici che diventano i suoi salvatori: Andrew, americano, e Antonio, italiano. Risalgono al suo arresto dal sito della polizia che tiene traccia di tutti gli interventi di questo tipo, arrivano alla stazione di polizia ma gli viene impedito di parlare con Matteo. Che intanto ha già ceduto una prima volta all’autolesionismo, dando testate contro le sbarre dell’auto che lo porta in carcere. A lui viene di fatto impedito di chiamare un avvocato, perché le agenzie che pagano le cauzioni non si fidano di uno straniero e lui non ha il numero di una persona di riferimento che ricordi a memoria (è senza cellulari). Potrebbe pagarsi da sé la cauzione, ma la legge lo vieta. E anche quando gli amici contattano la madre e versano i 4.000 dollari per liberarlo, a lui non viene comunicato se non a distanza di quasi un giorno.

Nel frattempo gli viene assegnato in cella il posto di sopra di un letto a castello, dove però fa fatica a salire per le ferite alle mani e ai piedi. Non viene visitato da un medico. È stanco e ferito, chiede una coperta e un cuscino che gli vengono negati irridendolo: «Rimani qui, non andare via». E ancora: «Marcirai in prigione, qui non hai diritti», sventolandogli la carta di identità davanti.

Il conforto della madre

Una volta libero, vomita e collassa, va in una clinica psichiatrica perché a rischio suicidio, poi, dopo altri cinque giorni, torna al suo alloggio dove si trova con la madre e il fratello. «Non ero a conoscenza di quanto stava accadendo là fuori e mi sentivo come un animale in trappola. Solo quando ho sentito la voce dei miei amici ho pensato che potevo farcela», raccontava ancora Falcinelli. La mamma ora lo descrive «commosso per tutto il sostegno che sta ricevendo».
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6 maggio 2024 ( modifica il 6 maggio 2024 | 23:26)

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