Sinner, primo giorno da numero 1: «Alcaraz? Penso ancora a quella sconfitta»
Le prime parole di Jannik Sinner in vetta alla classifica mondiale: «Io mi do già nuove sfide: voglio vedere quanto resto numero 1, poi c'è Wimbledon e l'Olimpiade sempre a Parigi. Io vorrei rendere il mio sport ancora più grande come hanno fatto Valentino Rossi e Alberto Tomba»
DALLA NOSTRA INVIATA
PARIGI - Ha il globo gigante da nuovo re del ranking accanto. Il solito Jannik, con il solito sorriso e i soliti pensieri di crescita ed etica del lavoro nella testa. Ha visto il formidabile Carlos Alcaraz conquistare il Roland Garros, salire al n.2 in classifica e rilanciargli la sfida del prossimo decennio. Sinner contro Ercolino, che goduria.
Ma oggi, 10 giugno 2024, è un lunedì storico per il tennis italiano e per il predestinato che l’ha portato lassù, dove non era mai stato.
Sinner: «Avrei voluto essere io in finale a Parigi»
Sinner si è reso conto di essere numero uno del mondo? L’ha realizzato?
«Sì, certo. Però più che al numero uno del mondo sto ancora pensando alla partita con Alcaraz in semifinale a Parigi. Domenica ho visto un po’ della finale, e ho fatto un po’ fatica perché comunque mi sarebbe piaciuto di più essere lì. Sto ancora metabolizzando: adesso mi interessa questo. Il trofeo di numero uno mi piace ma purtroppo domenica non sono riuscito ad essere nel posto dove averi voluto stare. Parigi».
Più dolorosa la sconfitta con Alcaraz al Roland Garros che quella (con match point) a New York nel 2022?
«Mah, è andata così, succede. È una grande lezione per me: mi fa capire dove devo lavorare e dove devo migliorare. Nulla di drammatico. Oggi mi godo il trofeo da numero uno del ranking».
Quale tra i 28 numeri uno che l’hanno preceduta, da Nastase (23 agosto 1973) in poi, l’ha ispirata di più?
«Ogni numero uno è molto speciale, se devo sceglierne uno dico Roger Federer. Sono cresciuto quando lui giocava, l’ho guardato tanto, mi è sempre piaciuto il suo essere stiloso fuori e dentro il campo. Il mio numero uno dei numeri uno è Federer».
E tra i numeri uno dello sport italiano?
«Io che sciavo tanto, adoravo Alberto Tomba. Ma anche Valentino Rossi è stato di grande impatto per me. Gli riconosco di aver fatto crescere molto il loro sport, e questo deve diventare anche il mio obiettivo nel tennis: siamo cinque italiani nei primi 50 del mondo, che è un numero enorme, ma io vorrei far diventare il tennis ancora più grande. Ci sforziamo di avere ottimi risultati, l’avete appena visto al Roland Garros. Una finale Slam in Australia, una semifinale a Parigi: posso essere soddisfatto».

Il sogno da bambino
Djokovic a 7 anni disse: io diventerò numero uno del mondo. A quell’età il suo pensiero era: voglio battere il mio rivale al torneino regionale, voglio diventare re del mondo o voglio conquistare uno Slam?
«Nessuno dei tre! Certo quanto ti chiedono il sogno da piccolo, io rispondevo il numero uno. Ma da giovane lo dici e basta, tanto è solo un sogno, e magari non ci credi nemmeno tanto. Io ho sempre ragionato per piccoli passi: guadagnare un punto Atp, poi entrare nei top 1000 della classifica, e ci sono riuscito; poi mi sono detto che volevo i top 500 e sono arrivato anche lì. Non è che all’inizio avevo in mente uno Slam particolare o la classifica: ho sempre cercato di darmi piccoli traguardi che mi facessero fare un passo in avanti. Quando lo centro, mi do un altro obiettivo, ancora oggi. Questa per me è la chiave per crescere, e spiega dove sono arrivato».
Adesso gli obiettivi crescono.
«Certo. Ora è interessante vedere quanto a lungo riesco a rimanere numero uno, verificare come mi comporto ad Halle, il prossimo appuntamento, poi c’è Wimbledon e sono curioso di scoprire come giocherò a Londra. L’anno scorso sull’erba ho fatto una fatica incredibile, già il primo torneo sul verde mi dirà molto. Poi ci saranno altri obiettivi, quelli non mancano mai».
La festa a Sesto Pusteria, martedì, cosa significa per lei? Lasciò il paese a 13 anni, ci torna con la Coppa Davis, il trofeo dell’Australian Open e il globo da re del tennis.
«La famiglia per me è tutto. La festa era già programmata dopo l’Australian Open ma eravamo molto stretti con le date e avevamo già fissato l’11 giugno. È successo quello che è successo, e quindi festeggiamo tutto insieme. Mi piace l’idea di incontrare i ragazzini del tennis club, entrare in connessione parlandogli: sono cresciuti come me in un paesino normale dell’Alto Adige, spero che l’impatto del mio esempio per loro possa essere importante. Quindi sono contento di andare a Sesto. Casa è sempre casa».
«Alle Olimpiadi tornerò sullo stesso campo»
Il prossimo sogno?
«Wimbledon e le Olimpiadi. Ai Giochi tornerò sul campo della sconfitta di venerdì con Alcaraz, spero di far bene perché per me sarà un appuntamento molto speciale e importante».
Sente la responsabilità del numero uno? In fondo oggi la faccia del tennis, dal Polo Nord al Polo Sud, dall’Asia all’America, è Jannik Sinner. Un peso in più?
«La responsabilità l’ho sempre sentita. Quella da numero uno è diversa ma il peso lo conosco e l’ho sempre sopportato e gestito. Io continuerò a fare ciò che ho fatto fino a ora: chiedere alle persone che mi stanno intorno di essere molto oneste con me. La sera del giorno in cui Djokovic si è ritirato dal Roland Garros, garantendomi il primato, ho riunito il team: voi dovete sempre dirmi la verità, ho detto, perché è l’onestà che mi ha portato ad accettare dei momenti difficili. Ha fatto in modo che io accettassi delle cose che non andavano. E mi è servita a fare un passo in più».
È felice, Jannik?
«Mi sento sopra una montagna, e di fronte ne vedo già un’altra da scalare. Non vedo l’ora di tornare in campo: non c’è niente al mondo che mi piaccia di più di giocare a tennis. Il ragazzo di Sesto Pusteria è diventato numero uno al mondo, ma non cambierà».