Chi gioca con la Croazia, il modulo dell'Italia, la qualificazione: domande, dubbi e insicurezze. Il racconto
Quando ci sono troppi dubbi, nel calcio, durante le riprese di un film, nella vita, non è mai buon segno. I dubbi sono il miglior propellente per rischiare di sbagliare
La notizia che Dimarco sta lavorando a parte, in palestra, arriva mentre il gruppetto dei cronisti scende alla stazione centrale di Lipsia, che è luminosa e grande, la più grande d’Europa, dopo aver viaggiato su un trenino puzzolente e lento, cinque ore piene per arrivare qui, in Sassonia: non siamo andati al risparmio, è che l’alta velocità proprio non c’è in questo tratto, la famosa locomotiva economica tedesca ha rallentato anche sui binari e così tutti lavoriamo attaccati ai cellulari (abbiamo lasciato gli azzurri che, nella foresta di Iserlohn, stavano per cominciare l’ultimo allenamento, prima di venirsi a giocare nel Leipzig Stadium la qualificazione agli ottavi contro la Croazia).
Entrano whatsapp pieni di una certa cupa vaghezza. Darmian potrebbe prendere il posto di Dimarco. Confermato, forse, e nonostante tutto, Di Lorenzo. Ancora incertezza su Jorginho e Chiesa. Si cerca di verificare se, davvero, come gira voce, Retegui possa giocare al posto di Scamacca. Raspadori trequartista: è una possibilità che resta? E la voce che Pellegrini andrà in panchina? Qualcuno ha capito se il cittì ha cambiato idea nella notte e se la rischierà con una difesa a tre?
Quando ci sono troppi dubbi, nel calcio, durante le riprese di un film, nella vita, non è mai buon segno. I dubbi sono il miglior propellente per rischiare di sbagliare. Senza considerare che possono scatenare paure incontrollabili. Infatti, per capirci: da almeno tre giorni, sui giornali e nei talk televisivi non facciamo che parlare di Modric. Identikit per spiegare come sta, come non sta, e che pensa, che dice, e quanto male può farci in campo. Adesso, va bene: è ancora l’emblema della Croazia e, a lungo, lo abbiamo tutti ritenuto il più forte centrocampista del pianeta. Però ormai viaggia verso i 39 anni (li compirà il 9 settembre), ed è ben dentro quel declino fisico per cui a un calciatore resta al massimo un tempo di gioco nelle gambe: certo sei sempre Modric, anche da fermo puoi comunque inventarti robe pazzesche ed è per questo che Carlo Ancelotti, nel Real, ad un certo punto, lo buttava dentro. Quindi, ecco, mettiamola così: dobbiamo averne rispetto, grande rispetto, però non possiamo esserne terrorizzati. No, proprio no. Anche perché, diciamocelo: capace pure che l’anno prossimo, di questi tempi, Modric ce lo ritroviamo in un torneo di padel, a Formentera, con Ventola e Bobo Vieri.
Ma è così che va, questa vigilia. C’è un’atmosfera plumbea. Negativa? Sì, probabilmente sì. Del resto tutti — noi sul trenino che ci ha portato qui, e però anche la truppa azzurra che, finito un pranzo leggero, adesso si sta imbarcando per raggiungerci — tutti teniamo d’occhio il tabellone e facciamo calcoli, immaginando i vari incastri, le combinazioni che l’Italia ha per passare il turno: da seconda nel girone, o ripescata tra le migliori terze.
È la dimostrazione che ci sentiamo profondamente insicuri. Anzi, a raccontarci un po’ di verità: temiamo che la partita con la Croazia possa trasformarsi in un martirio sportivo. È chiaro che a minare nel profondo la nostra autostima sono stati gli spagnoli. Ci abbiamo perso male. Ci hanno umiliati. Ci hanno fatto una testa così. Perciò il rischio più grande è che nella psiche degli azzurri si sia insinuata la convinzione di essere, strutturalmente, inadeguati per compiere un grande cammino in questo torneo. Con un interrogativo subdolo che, più o meno, è questo: d’accordo, possiamo anche passare il turno, ma poi?
C’è da dire che le parole pronunciate l’altro giorno dal presidente Gabriele Gravina non sono state esattamente una siringata di entusiasmo. «Dovete avere fiducia perché questa è una formazione giovane e con poca esperienza internazionale. Bisogna dar tempo ai nostri di crescere. Poi, però, qualunque sia il risultato, andremo avanti con il miglior allenatore che c’era sul mercato in quel momento e che abbiamo preso» (qualunque sia il risultato: presidente, in che senso?). E ancora: «Rispetto ad altre realtà ci sono delle differenze a livello di esperienza, di materiale selezionabile e di disponibilità di strutture…» (sì, certo: però guardi che è lei, il presidente della Federcalcio). «Non basta la storia calcistica di un Paese per avere aspettative» (cioè, un momento, per capire: ce la dobbiamo guardare o no, la partita contro la Croazia?).
Gli azzurri, intanto, sono arrivati allo stadio e stanno scendendo sul terreno di gioco per la solita ricognizione. Il colpo d’occhio sugli spalti, l’ampiezza, la consistenza del prato. Volete sapere che facce hanno?
Lasciate stare.
Guardate: non saranno un gruppo di fenomeni, ma sono dei bravi ragazzi. E, soprattutto, sanno che indossare la maglia azzurra è una cosa seria. Fidiamoci.