“Non posso accettare condizionamenti sulla giustizia”. Ma Meloni teme sgambetti dalle toghe

DUBAI - Ha scelto ancora una volta il backstage di un vertice internazionale, la carica che ormai da mesi – quando in patria infuria la bufera – le danno gli incontri oltreconfine con i leader degli altri Paesi. Quando, all’ora che in Italia è quella dei tg, Giorgia Meloni lascia i lavori della conferenza sul clima per affrontare i giornalisti, dopo l’ultimo bilaterale con la presidente della Slovenia Natasa Pirc Musar, sa già che dovrà affrontare la questione giustizia, resa arroventata dalle dichiarazioni di Crosetto sull’”opposizione giudiziaria” al suo governo e dal rinvio a giudizio del sottosegretario del ministero di via Arenula, Andrea Delmastro, esponente del suo stesso partito.

La premier è cosciente che è da qui, in un angolo della variopinta area fra i padiglioni di Expo 2020, sotto le luci che un generoso operatore tedesco mette a disposizione reggendo con le mani un faro per un quarto d’ora, che deve interrompere la linea del no comment e provare a ribaltare l’assedio delle opposizioni che dura da giorni.

Ha in mente una precisa strategia di comunicazione: difendere i suoi uomini di governo rimandando la palla nel campo della magistratura. Cui solo formalmente vengono rivolte parole di pace. Perché il riferimento alla cultura di destra che «rispetta le istituzioni», che non concepisce lo scontro fra “servitori dello Stato”, lascia dopo meno di un minuto lo spazio a un rilancio chiaro: “Ci sono gruppi di magistrati che fanno politica”.

Non ha dunque alcuna intenzione, Meloni, di lasciar cadere nel vuoto l’accusa di Crosetto, malgrado soltanto venerdì lo stesso ministro della Difesa abbia ridimensionato il suo allarme in Parlamento (anche se con l’evocazione di Craxi non particolarmente gradito da Palazzo Chigi) e nonostante un clima generale che sembrava stemperato, figlio anche dell’assoluto riserbo sull’argomento che il presidente della Repubblica, che ha partecipato giovedì alla riunione plenaria del Csm, ha scelto di mantenere. Un silenzio, quello di Mattarella, interpretabile proprio come un gesto distensivo, per abbassare i toni di uno scontro tra poteri dello Stato.

Ma l’ultima vicenda, quella del fedelissimo Delmastro rinviato a giudizio con l’accusa di aver fatto pressioni sul Dap per ottenere un relazione dopo la visita di alcuni esponenti del Pd all’anarchico Cospito (notizie poi divulgate in aula dal collega e coinquilino Giovanni Donzelli), non permette a Meloni un tono più conciliante. A costo di determinare nuovamente l’irritazione dell’associazione dei magistrati.

Non è in grado di fare una retromarcia netta sulla linea dura, la presidente del Consiglio, perché non può sconfessare l’operato di Delmastro. E perché lei è assolutamente convinta che ci siano le ingerenze dei pm in politica denunciate da Crosetto. La premier non si spinge a parlare di “strategia” ma c’è un fatto che, esplicitamente, le incute forti sospetti: le critiche dell’Anm alla riforma del premierato. «Inaccettabili» proprio perché riguardano una legge-manifesto del governo, uno dei cardini della sua azione politica prima delle Europee. Una bandiera elettorale. Chi la attacca dall’esterno, è il suo pensiero, mira al cuore della sua attività politica. Può far avverare la profezia che il direttore del Giornale Alessandro Sallusti ha rivelato: “Non so se arrivo viva alle elezioni europee”.

No, non poteva più tacere, Giorgia Meloni, e nelle ore in cui alla Cop28, a ridosso della splendida cupola dell’Al Wasl Plaza, si divideva fra finanziamenti ai Paesi danneggiati dalle emissioni inquinanti e dubbi sul nucleare, ha maturato due convinzioni, riferite da chi le sta vicino. La prima: la maggioranza non deve avere remore sulla riforma costituzionale, assolutamente da approvare in prima lettura entro giugno. La seconda: di qui al voto la squadra di governo non si cambia, malgrado le inchieste. Il rimpasto verrà dopo, anche perché alcuni ministri saranno candidati. La vicenda Delmastro, come quella che riguarda Santanchè, non imporranno nel frattempo modifiche. Anzi, le sconsigliano vivamente. “Non possiamo accettare condizionamenti”, è la posizione. E allora: nessun atto ostile alla magistratura. Ma l’accento sulla distanza con le toghe (diplomaticamente “con una parte” di esse) rimane.