Anastasia la cecchina che ha perso la gamba, ma non la voglia di combattere: così l’Ucraina usa i suoi eroi per cercare nuove reclute
KIEV – Anastasia la cecchina amputata ha perso una gamba su una mina, ma freme per tornare al fronte. “Lo faccio per Yarema”, dice, il suo bimbo di 5 anni che trema ogni volta che suonano le sirene d’allarme. Lei invece non trema affatto: non per la paura né per la tenerezza, non per i dubbi né per il ricordo dei colpi sparati. Nel Centro nazionale di riabilitazione “Unbroken” di Leopoli, gli “indistrutti”, fa riabilitazione funzionale e psicoterapia per quell’arto che sente ancora, ma che non c’è più. E intanto posa con il sorriso duro della guerriera, con la mimetica militare da cui spuntano le garze della fasciatura.

Combatte già la sua nuova battaglia: al fronte probabilmente non la lasceranno tornare, ma con la sua immagine da invitta dice agli ucraini che la guerra è bella anche se fa male, come cantava De Gregori. E se non è bella, quantomeno è giusta, dice Anastasia: “Yarema associa l'Ucraina alla guerra. È in un posto relativamente sicuro, ma dice spesso che ha paura di crescere e di morire. Non voglio che viva tremando al suono delle sirene”.
Parla a un Paese che non riesce più a trovare candidati per la prima linea. Sui media ucraini la mobilitazione è sempre uno dei titoloni: dovranno reclutare 500mila uomini (e donne?) come il presidente Volodymyr Zelensky ha annunciato che gli è stato chiesto dai vertici militari? O ne serviranno meno, come i dubbi dello stesso presidente lasciano intendere per il costo insostenibile dei loro stipendi? Intanto la cronaca è zeppa di storie ben diverse da quelle di Anastasia Savka, la cecchina di Leopoli. Storie come quelle del papà che ha preso il fucile e lo ha scaricato su un addetto militare per “vendicare” il reclutamento forzato di suo figlio asmatico; o come la granata lanciata nel cortile di Georgy Horvat, un deputato del Consiglio regionale della Trascarpazia che compila e consegna al Comando militare le liste dei nomi da mobilitare.
Prima della guerra, Anastasia era una di quelle giovani amministrative degli autosaloni che compilano pratiche: prego, si accomodi e stampo subito la fattura. Ma i tempi in Ucraina sono cambiati dal giorno alla notte, il 24 febbraio di due anni fa. Anastasia aveva parenti all’estero, i suoi genitori la accompagnarono con il bambino alla stazione dei pullman per mettere lei e Yarema in salvo a casa loro. E invece quando ha visto il pullman ha fatto dietrofront e ha detto che non solo non avrebbe lasciato il suo Paese ma anzi avrebbe combattuto per difenderlo. Si è presentata volontaria come centinaia di migliaia di persone, tra le quali anche molte altre donne.
Ci è rimasta 18 mesi, al fronte. In trincea con il fucile da cecchina, pronta a sparare a qualsiasi foglia si muovesse. “Nastya” era diventata una cecchina in forze alla 118esima brigata nella zona di Zaporizhzhia: è da quelle parti che qualche mese fa gli ucraini hanno tentato la grande controffensiva schiantatasi sul letto di mine delle famigerate tre linee difensive della “Surovikin” russa. Una di quelle mine si è presa anche la sua gamba.
Ha perso un arto ma non il sorriso. Quel sorriso da modella che lasciava senza fiato; quel sorriso da ragazza felice che esibiva anche al fronte, con due commilitoni coetanei e un’altra ragazza come lei. Fucile ed elmetto, lanciagranate e giubbotto antiproiettile. Tutti e quattro sorridenti come a una gita in montagna, e invece era il sorriso della convinzione nei propri ideali, il sorriso di chi ci riesce a trovare un senso che giustifichi il sacrificio, in questa guerra sanguinosa per difendere l’Ucraina dall’invasione.
“Ha capito di essere una cecchina nata perché ha un carattere d'acciaio, in cui non c'è posto per la paura o la debolezza”, dicono di lei diffondendo le sue foto e la sua storia come fosse una medicina per replicarle, quella motivazione e quella convinzione: “In un anno e mezzo di servizio, dice, ha dovuto visitare più volte il vero inferno e vedere con i suoi occhi il prezzo della nostra libertà, che si misura con la vita dei difensori caduti”, scrivono i media ucraini rilanciandone la storia con la penna immersa nella retorica.
La sua storia di cecchina è finita a novembre, quando ha accidentalmente calpestato una mina. I commilitoni le hanno subito stretto il laccio emostatico e l'hanno portata al punto di stabilizzazione, ma la gamba era perduta. Il giro degli ospedali l’ha portata a Leopoli, la sua città natale. Le stanno costruendo la protesi, e intanto abbraccia il suo Yarema nel letto del Centro di riabilitazione. Lo abbraccia ma “non vede l’ora di tornare al fronte”, dice la voce fuori campo della propaganda che ha dato in pasto ai media la sua storia, dispensando roboante ottimismo in una fase drammatica del conflitto: "Vuole continuare a difendere il futuro di suo figlio e del suo Paese”.