«Israele può ignorarela decisione dell'Aia.Ma può essere usata dalla Corte penale contro Netanyahu»
Il giurista Filippo Fontanelli: «Esiste una seria preoccupazione che a Gaza siano in corso crimini di guerra e crimini contro l’umanità»

Un uomo osserva alcuni palestinesi sfollati su un carro trainato da un asino lungo una strada devastata a Khan Younis, nel sud della Striscia di Gaza (Afp)
«Interrompere» l'operazione militare a Rafah. Fare in modo che il valico che collega la città e l'Egitto resti aperto, così da garantire il transito «su larga scala» di aiuti umanitari. E permettere l’ingresso di commissioni di inchiesta delle Nazioni Unite a Gaza. È quanto ha stabilito la Corte internazionale di Giustizia oggi, 24 maggio. Filippo Fontanelli, professore di Diritto internazionale all'Università di Edimburgo, ha spiegato al Corriere quali conseguenze può avere la decisione della Corte dell'Aia.
Qual è stato l'iter che la Corte ha seguito per giungere a questa decisione?
«Questa decisione si iscrive nel quadro del procedimento in cui la Corte dovrà accertare se Israele ha violato la Convenzione sul Genocidio, su richiesta del Sudafrica. L’esito di questo processo potrà arrivare tra qualche anno, ma il Sudafrica ha richiesto più volte, con il peggiorare della situazione a Gaza, che la Corte indichi misure di emergenza per prevenire il rischio che avvengano danni irreversibili, rendendo inutile il giudizio. La Corte ha già accolto in parte le richieste del Sudafrica, ordinando in due occasioni (il 26 gennaio e il 28 marzo) a Israele di evitare azioni e crimini che possano integrare violazioni della Convenzione sul Genocidio, e ordinando di permettere l’accesso agli aiuti umanitari. Finora, la Corte non aveva però accolto la richiesta del Sudafrica di ordinare a Israele di interrompere le operazioni militari nella Striscia di Gaza, come aveva invece fatto nel marzo 2022 alla Russia dopo l’invasione dell’Ucraina. Con il progredire dell’operazione israeliana e l’imminenza dell’attacco a Rafah, il Sudafrica ha inoltrato alla Corte una nuova richiesta di frenare l’azione di Israele. Con la decisione di oggi, a grande maggioranza (13 voti contro 2), la Corte ha effettivamente ordinato a Israele di interrompere l’operazione a Rafah, senza però estendere questo obbligo all’intero territorio della Striscia, come aveva richiesto il Sud Africa».
Cosa accade ora? La Corte ha il potere di far rispettare nella pratica la sua decisione?
«Israele potrebbe contestare la correttezza di questa decisione e la legittimazione della Corte di adottarla. Inoltre, il divieto di proseguire l’operazione a Rafah è espressamente legato al rischio che si consumino crimini capaci di distruggere in tutto o in parte la popolazione palestinese di Gaza (una delle circostanze che possono contribuire all’identificazione di un genocidio). Questo chiarimento potrebbe fornire a Israele l’appiglio per continuare l’invasione di Rafah, evitando però questi specifici scenari di distruzione. In altre parole, Israele potrebbe limitarsi all’osservanza stretta del divieto, modificando (genuinamente o in maniera pretestuosa) la natura del proprio intervento a Rafah, invece che rinunciandovi del tutto. Va ricordato che la Corte emette decisioni vincolanti, di cui può rilevare la violazione, ma non ha il potere esecutivo di imporne il rispetto. Israele potrebbe perciò ignorare apertamente questa decisione, o offrirne un’ottemperanza di facciata, senza che la Corte stessa (o il sistema delle Nazioni Unite) possa impedirlo».
Cosa comporta questa decisione per Israele? E quali sono i prossimi passi che la Corte può compiere?
«Nelle dichiarazioni pubbliche, Israele ha preannunciato che avrebbe ignorato ogni ordine della Corte. Un portavoce del governo, pochi giorni fa, ricordava che “non esiste un potere al mondo che potrà impedire a Israele di proteggere i propri cittadini e perseguire Hamas a Gaza”. Queste dichiarazioni miravano a depotenziare in anticipo l’effetto di questa pronuncia. Finora, è parso che Israele abbia dato priorità all’esecuzione dei propri piani militari, senza preoccuparsi molto di mostrare di obbedire alle istruzioni della Corte. In questo caso, è probabile che l’apparente perentorietà dell’ordine (di “fermare” le operazioni) spingerà Israele piuttosto a reinterpretarlo, che a ignorarlo apertamente. Resta da valutare il comportamento degli altri Stati, che potrebbero prendere le distanze da Israele, soprattutto se apparirà ignorare questo ordine. La rapida successione tra questa decisione e quella, di questa settimana, con cui il procuratore della Corte penale internazionale ha richiesto di emettere un mandato di arresto per Benjamin Netanyahu, riflette un momento drammatico per Israele, sempre più solo nel perseguire un piano militare con modalità che la comunità internazionale ritiene illeciti».
Questa decisione può riflettersi sul procedimento contro Netanyahu e il suo ministro della Difesa, Yoav Gallant, in corso alla CPI?
«I due procedimenti – quello di fronte alla Corte e quello, appena iniziato, che potrebbe portare Netanyahu e Gallant come imputati di fronte alla Corte penale internazionale – possono influenzarsi a vicenda. La Corte penale dovrà a breve decidere se le accuse proposte dal procuratore, che includono quelle di sterminare, affamare e attaccare i civili di Gaza, sono ragionevolmente fondate. La decisione di oggi non accerta la commissione del genocidio, ma dimostra una fondata preoccupazione che alcuni crimini di guerra e crimini contro l’umanità siano in corso: una preoccupazione tale da spingere la Corte ad attivarsi per prevenire il rischio una distruzione della popolazione di Rafah. Da un lato, il procuratore senza dubbio indicherà ai giudici della Corte penale che la decisione di oggi non solo dimostra la fondatezza minima delle proprie accuse, ma anche la loro sostanziale correttezza, e chiederà il rinvio a giudizio. Dall’altro, la Corte internazionale di Giustizia seguirà attentamente il corso del procedimento penale. Benché per adesso Netanyahu e Gallant non siano accusati di genocidio dalla procura, i crimini di cui sono accusati sono componenti essenziali per quello di genocidio. Perciò, nel caso di un rinvio a giudizio, il Sudafrica avrà buon gioco a enfatizzare la plausibilità del proprio ricorso in merito alla commissione di questi crimini, insufficienti ma necessari a integrare la fattispecie di genocidio».