Schiarita verso il Ramadan, Netanyahu non imporrà altre limitazioni sulla Spianata delle Moschee

BE’ERI (israele) — Non ci saranno nuove restrizioni rispetto a quelle già in atto per i pellegrini musulmani che in occasione del Ramadan vorranno pregare sulla Spianata delle Moschee. La decisione del primo ministro Benajmin Netanyahu sulle misure da adottare per il mese più sacro dell’Islam, che inizia il 10 marzo, arriva dopo settimane di braccio di ferro fra i vertici dei servizi segreti e della polizia che temevano che ogni nuovo divieto avrebbe esacerbato la situazione - e il ministro per la Sicurezza nazionale Itamar Ben Gvir, che avrebbe voluto vedere misure più dure. E punta, agli occhi di Netanyahu - ma anche degli Stati Uniti che da giorni mettevano in guardia dal seguire le indicazioni dell’esponente dell’estrema destra - a ridurre la possibilità di un’ulteriore escalation non solo fra Israele e i palestinesi, ma anche con il resto del mondo arabo. E dunque il numero di fedeli ammessi sarà lo stesso del passato, salvo le rivalutazioni periodiche della situazione.

Che questi giorni in Israele siano una lunga attesa verso il Ramadan lo confermano anche le parole del presidente americano Joe Biden che ieri è tornato a invocare una tregua entro il 10: dal Cairo - dove si svolgono i negoziati fra Hamas, il Qatar e gli americani in assenza per il momento di una delegazione israeliana – neanche ieri sono arrivate novità: se un accordo ci sarà, questo è chiarissimo, non arriverà che all’ultimo minuto. Un concetto ribadito anche dai rappresentanti di Hamas al Cairo, che hanno fatto sapere che «il tempo della trattativa non sarà infinito».

Ma cosa stia accadendo dentro al gruppo non è chiaro: ieri un’analisi sul Times of Israel di Avi Isacharoff parlava di un tentativo del leader politico della Striscia Yahya Sinwar di usare il Ramadan per unire alla sua causa l’intero mondo arabo, tentativo non necessariamente gradito al resto del gruppo. Mentre il Jerusalem Post pubblicava informazioni che attribuivano a un limitatissimo gruppo di dirigenti (fra cui Sinwar) la decisione di lanciare l’attacco del 7 ottobre, prendendo di sorpresa la leadership in esilio a Doha.

Mentre le discussioni al Cairo sono in stallo, a Gaza lo spettro della fame è diventato reale: l’Unicef ha denunciato ieri la morte di dieci bambini per denutrizione e l’Oms ha chiesto l’evacuazione di ottomila persone che hanno bisogno di cure urgenti: fra di loro, molti sono minori. «Serve inondare la Striscia di aiuti per prevenire la morte per fame dei bambini», ha riassunto per tutte le Nazioni Unite il portavoce dell’Ufficio per le emergenze umanitarie (Ocha).

Ieri acqua, cibo e medicinali sono stati di nuovo paracadutati sulla Striscia da americani e giordani: la destinazione era in particolare il Nord della Striscia, la zona più difficile da raggiungere via terra. Ma nonostante gli sforzi, parte dei pacchi che scendevano lenti nel cielo, ben visibili a chiunque si trovasse nei pressi della Striscia, sono atterrati sulla spiaggia di Zikim, sul lato israeliano del confine senza dunque raggiungere le migliaia di persone che li aspettavano con ansia. Ai lanci nelle prossime settimane vorrebbe partecipare anche l’Italia, secondo quanto annunciato dal ministro della Difesa Guido Crosetto in visita in Turchia: il meccanismo è ancora allo studio e non ci sono tempi esatti per la possibile operazione.