Liguria, Rixi: «Non mi candiderò a governatore. Sì a un nome fuori dai partiti o il destino è già scritto»
Il viceministro leghista delle Infrastrutture e dei Trasporti: «A Salvini l’ho già detto, non intendo cambiare idea. Noi abbiamo sempre appoggiato Toti, altri meno. Credo che si sia sentito solo»
Viceministro Rixi, ha le orecchie che le fischiano?
«Non mi candido. E non cambierò idea al riguardo».
Non la lusinga il fatto di essere considerato dal mondo politico come l’unica speranza del centrodestra ligure?
«La politica non è certo la società civile. Mica vota. E quanto al centrodestra ligure, nelle ultime tornate amministrative per troppe volte non ha mostrato unità di intenti».
Genovese, unico ligure di governo: perché è così contrario all’idea di provarci?
«Lo ha appena detto lei. Io rappresento un governo in carica, che deve andare avanti in ogni caso. Non posso essere sempre l’unico nome sul tavolo. Se il centrodestra ligure non ha nessuno oltre a me, significa che c’è un problema grosso».
Nei giorni scorsi, «Dagospia» citava un accordo tra Giorgia Meloni e Matteo Salvini sul suo nome.
«Che io sappia, non c’è nessun accordo del genere, che per altro sarebbe stato siglato contro la volontà del diretto interessato».
Se glielo chiedessero, sicuro che risponderebbe in modo così netto?
«Al ministero delle Infrastrutture cerco di risolvere il problema delle concessioni autostradali e mi occupo delle opere pubbliche bloccate o ferme, e del settore marittimo: questo è il mio compito. E non sono abituato a lasciare le cose a metà. Se mi dicono che non è una priorità, ne prenderò atto. Ma senza cambiare idea. Non ritengo opportuna la mia candidatura. E non so più come dirlo».
Si sente più utile rimanendo a Roma?
«Se si fosse votato tra un anno e mezzo, a scadenza dell’attuale legislatura, ci avrei pensato. Oggi sarei solo una pezza a colori per tamponare una situazione di emergenza. Quindi, cercherò di continuare a lavorare per amministratori pubblici come il sindaco di Genova Marco Bucci, che giovedì nonostante i suoi problemi di salute era a Roma per difendere le infrastrutture della Liguria. A questa gente, io devo dare una mano. Se vado via, chi seguirà queste cose?».
Pensa che sia una partita già decisa?
«Siamo davanti a una situazione pensata per creare a freddo un problema Liguria che prima non c’era. Una campagna elettorale difficile e avvelenata come quella ligure, va fatta partendo dal basso. Per favorire questo processo, mi tiro fuori. Anche perché le indiscrezioni sul mio nome fanno pensare ad accordi predeterminati, e questo non crea certo serenità nell’elettorato di centrodestra, che invece deve credere in un progetto solido».
Toti si dimette a causa del mancato sostegno degli alleati?
«Noi come Lega non sempre abbiamo condiviso le sue decisioni, ma lo abbiamo sempre appoggiato. Altri, meno. Credo che si sia sentito solo. Adesso, se si vuole provare a vincere, bisogna costruire una squadra».
Salvini è d’accordo?
«Gli ho detto quello che penso, e ci siamo confrontati».
Chi potrebbe provarci?
«Dopo quel che è successo a Toti, ci vuole una svolta, e ci vuole un candidato civico. Non bisogna pensare in termini di centrodestra contro centrosinistra. Se così sarà, il nostro destino sarà già scritto. Occorre invece mettere a confronto due visioni differenti della società. Da una parte, chi difende le istituzioni, le imprese e l’economia. Dall’altra, chi vuole solo sfruttare la congiuntura giudiziaria favorevole che si è creata».
Come giudica quel che è accaduto?
«Come un fallimento della democrazia. Un presidente di Regione costretto a dimettersi senza neppure essere stato rinviato a giudizio. La richiesta fatta dalla Procura ha creato un vulnus nell’equilibrio democratico. Obbligare qualcuno a scegliere tra la propria libertà personale e il ciclo amministrativo di un ente, è una cosa barbara. Se non c’è una reazione della società civile davanti a una aberrazione come questa, significa che alla fine è tutto inutile. Non si può pensare di vincere le elezioni, se tutti stanno dalla parte di chi utilizza sistemi coercitivi contro gli avversari politici».
Sta parlando del centrosinistra?
«Mi ha molto colpito la recente manifestazione con i leader nazionali a Genova, uniti nel chiedere le dimissioni di Toti. Sembrava di vedere un branco di coyote intorno a un animale ferito».
Nel 2015 il candidato era lei, poi arrivò Toti…
«Avevamo lavorato cinque anni per una candidatura, c’era un processo di aggregazione, che si rivelò fruttuoso anche quando il nome venne cambiato. Adesso, negli ultimi tempi ho notato soprattutto un progetto di disaggregazione, ognuno per sé. Ma dopo otto anni di governo, non possiamo non avere un profilo da candidare. Secondo me, ce ne potrebbero essere molti. L’importante è essere compatti e determinati».
Il suo giudizio su Toti?
«Giovanni è stato il miglior presidente da quando è stata fondata la regione Liguria. Per i risultati ottenuti, per la visibilità che ci ha dato. Chi lo nega, o chi cerca di dimenticarlo, fa un danno a sé stesso».
Può essere stato vittima della sua ambizione?
«La grandeur totiana faceva parte del personaggio. Ognuno ha suo stile. Sicuramente, Giovanni creava intorno a sé amori e odi. Come purtroppo si è visto».
Secondo lei è mancata una reazione adeguata?
«Quel che è accaduto a me sembra gravissimo. La politica ha senz’altro ceduto troppo presto. Quanto alla società, il centrodestra può vincere se identificherà un civico capace di mettersi a capo di una rivolta dei moderati, che hanno subito questa situazione. Ma se non lo cerca, ha già perso».
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