I molti «giri di valzer» del Sultano Erdogan, mediatore imprevedibile

diMonica Sargentini

Nel più grande scambio di prigionieri tra Occidente e Russia dai tempi della Guerra fredda c'è anche la mano della Turchia. E il presidente Erdogan si dimostra sempre più imprevedibile in tutti gli scenari di crisi più caldi degli ultimi mesi 

La Turchia incassa il successo dello scambio di prigionieri tra Russia e Stati Uniti, la più grande operazione dalla fine della Guerra fredda, con tanto di ringraziamenti del presidente americano Joe Biden, e lo fa con un post su X in cui il capo della comunicazione della presidenza turca, Fahrettin Altun, sottolinea come «i servizi di intelligence turchi hanno stabilito dei canali di dialogo e mediazione fra alcuni avversari mondiali», mostrando così che Ankara «è capace di parlare a diverse parti come partner degno di affidabilità e fiducia».

Ma, paradossalmente, proprio nel giorno in cui il ministro degli Esteri Hakan Fidan, ex capo dei servizi segreti turchi, dipinge il suo Paese come «il centro della diplomazia pacifica, in linea con la visione del nostro presidente», l’Autorità turca per le tecnologie dell’informazione e della comunicazione (Btk) decide di bloccare l’accesso a Instagram, provocando perdite commerciali per 50 milioni di euro e lasciando di sasso 57 milioni di utenti, perché il social avrebbe censurato i messaggi di cordoglio per l’uccisione del capo dell’ufficio politico di Hamas, Ismail Haniyeh. 

«È stata una decisione molto negativa, direi un autogol, proprio quando il governo Erdogan aveva ottenuto un tale successo diplomatico» è l’analisi di Soli Ozel, docente di relazioni internazionali alla Kadir Has University di Istanbul. «Con lo scambio di prigionieri la Turchia ha dimostrato grande competenza perché l’operazione richiedeva segretezza, contatti e capacità — aggiunge il politologo —. È come se il Paese avesse due facce. Quella cattiva viene fuori nella posizione su Gaza. In Turchia tutti abbiamo a cuore la sorte dei palestinesi ma di sicuro non solidarizziamo con Hamas, cosa che invece il governo sta facendo».

L’Occidente deve, dunque, fare i conti con una Turchia multiforme e ondivaga. Da una parte il Paese, membro della Nato, che già nel marzo del 2022 si era fatto promotore dei negoziati a Istanbul tra Mosca e Kiev e poi dell’accordo che ha consentito per un anno il passaggio sicuro nel Mar Nero delle navi ucraine cariche di grano. Dall’altra quello guidato da un presidente, Recep Tayyip Erdogan, che, da quando è iniziata la guerra a Gaza, più volte, ha attaccato frontalmente il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, rivolgendogli appellativi come «nazista», «terrorista», «genocida» e «criminale di guerra». E che, pochi giorni fa, in occasione di una convention del suo partito islamista Akp, è arrivato a minacciare di invadere Israele: «Come siamo entrati in Karabakh, come siamo entrati in Libia, faremo lo stesso con loro. Non c’è nulla che possa impedirlo».

Gli alleati occidentali contano sul fatto che alla fine Erdogan non volterà mai loro le spalle. Per quasi due anni ha tenuto i leader dell’Alleanza sulle spine sul sì all’entrata della Svezia ma, alla fine, ha ceduto. E, poi, a sorpresa, ha anche affermato che l’Ucraina dovrebbe far parte nella Nato, sfidando il veto assoluto del Cremlino. «Alla fine dei conti Ankara è membro dell’organizzazione — dice Cengiz Aktar il politologo turco, ex direttore dell’Unhcr, che ha lasciato Istanbul per vivere in Grecia dove ha una cattedra all’Università di Atene —, è questo quello che conta. Nessuno prende sul serio i discorsi fuoco e fiamme su Israele quando Erdogan continua a mandare petrolio, acciaio e altro nello Stato ebraico. Fa il doppio gioco con tutti. Con l’Iran, con Gaza, con la Russia, con l’Ucraina. Le parole di fuoco contro Netanyahu servono a far felici i turchi che solidarizzano con i palestinesi. Per l’Occidente è altro quello che conta».

Il Sultano, come viene chiamato, è spesso imprevedibile. Anche il suo rapporto con Mosca conosce alti e bassi ma alla fine rimane solido. Il portavoce del Cremlino Dmitrij Peskov ha appena annunciato che è in programma una visita di Putin in Turchia. Gli alleati occidentali sanno che non c’è alternativa a un rapporto con lui. Che gli piaccia o no.

2 agosto 2024

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