Israele, le crepe attorno a Netanyahu e ora crescono le pressioni per un attacco a Rafah
La spinta degli oltranzisti Sanzioni Usa a un consigliere di Ben Gvir. Il 74% degli israeliani era contrario ad un attacco in larga scala contro Teheran
GERUSALEMME - Non è nel governo ma siede nel consiglio di guerra ristretto. E sarebbe stato soprattutto lui a spingere perché la risposta al bombardamento iraniano di una settimana fa fosse limitata. Non perché Aryeh Deri, leader del partito ultraortodosso Shas, tenga in particolare conto le richieste di Joe Biden, il presidente americano, e della comunità internazionale. Da veterano decennale della politica israeliana, ha messo sul tavolo delle riunioni le questioni interne: la guerra in corso a Gaza contro Hamas, la volontà di fare il possibile per riportare a casa i 133 ostaggi (di cui almeno una trentina sono morti) ancora tenuti dai fondamentalisti, i quasi 100 mila abitanti del nord evacuati oltre sei mesi fa per i lanci quotidiani contro i villaggi della Galilea da parte dell’Hezbollah libanese.
Ha fatto capire — ricostruisce il Canale 12 — che queste dovevano rimanere le priorità e non aveva senso aprire un altro fronte, con una eventuale ulteriore rappresaglia dell’Iran.
È nel governo e non siede nel consiglio di guerra ristretto. Così Itamar Ben Gvir continua a concedersi sparate via social media più da politico all’opposizione che da ministro. L’ultima poche ore dopo le notizie sul raid attribuito a Israele nella città iraniana di Isfahan. «Loffio!», ha scritto usando l’espressione gergale da stadio per un tiro moscio che di sicuro non può impensierire il portiere. Peraltro proprio Deri sarebbe sempre più irritato e preoccupato dai proclami e dalle decisioni del leader dei coloni e dall’ascendente che riesce ad avere sul premier Benjamin Netanyahu. Anche se la sopravvivenza della coalizione dipende più dal suo Shas e dalle altre formazioni ultraortodosse.
«L’estrema destra capitanata da Ben Gvir — commenta Anshel Pfeffer sul quotidiano Haaretz — sta costruendo la campagna elettorale attorno al ritratto di un Netanyahu debole, consigliato da uno stato maggiore infido che ha fallito il 7 ottobre e intimorito da un Joe Biden ostile». Fino all’attacco «loffio» di ieri notte. L’ostilità attribuita alla Casa Bianca non è immaginaria, almeno dal punto di vista di Ben Gvir e Bezalel Smotrich, il ministro delle Finanze, anche lui rappresentante dei coloni. Washington ha imposto ieri altre sanzioni contro i radicali messianici che vivono negli insediamenti e ha colpito Ben-Zion Gosptein, fondatore dell’organizzazione anti-araba Lehava e tra i consiglieri di Ben Gvir.
Netanyahu continua a tenersi stretti gli oltranzisti nella coalizione, sa che da oggi in avanti cresceranno le pressioni perché ordini l’invasione di Rafah, gli ultimi chilometri quadrati della Striscia di Gaza dov’è ammassato un milione e mezzo di sfollati palestinesi. Lui stesso considera l’operazione necessaria per raggiungere la «vittoria totale» che ha promesso; allo stesso tempo gli americani si oppongono all’incursione e vogliono vedere prima il piano per l’evacuazione dei civili. Bibi, com’è soprannominato, già si prepara alla eventuale campagna elettorale e da compulsatore dei sondaggi non può non aver notato che per la prima volta in oltre sei mesi ha ridotto in parte il divario con Benny Gantz, il leader centrista. Il 74 per cento degli israeliani si opponeva a un attacco contro Teheran che mettesse in pericolo le alleanze internazionali e a quanto pare lo hanno premiato con qualche (ipotetico) voto in più per la scelta di un’operazione limitata.