Inaccettabile cacciare qualcuno in quanto ebreo

Caro Aldo,
dopo che David Parenzo è stato contestato alla Sapienza di Roma, il direttore di Repubblica Molinari ha avuto la medesima sorte a Napoli, all’Università Federico II. Secondo me, zittire le persone è pericoloso, soprattutto se non la pensano come noi. O no?
Mauro Ferrari

Le università devono essere i luoghi del dialogo, non gli spazi di costruzione di un pensiero unico ideologico e violento. Perché chi impedisce agli altri di parlare usa la violenza, non la cultura.
Celso Vassalini

Cari lettori,
Qui siamo abituati a dirci sempre la verità, o almeno quello che pensiamo davvero. E la verità è che David Parenzo e Maurizio Molinari non sono stati aggrediti e impossibilitati a parlare in quanto sostenitori di Israele; sono stati aggrediti e impossibilitati a parlare in quanto ebrei. Li conosco da molti anni, e sono due persone molto diverse. David è un animale a sangue caldo: esplosivo, vivace, sempre pronto a mettersi in gioco. Maurizio è un animale a sangue freddo: razionale, riflessivo. Entrambi hanno reagito senza fare tragedie, documentando quel che era accaduto, rendendosi comunque disponibili a un confronto che non è stato possibile, purtroppo per gli interlocutori, che avrebbero così imparato qualcosa. Quando ormai più di venticinque anni fa arrivai alla redazione romana della Stampa, andavamo spesso a pranzo nei vecchi ristoranti del ghetto con Molinari, e da lui ho imparato tante cose dell’ebraismo. Ne voglio ricordare almeno due. La prima: gli ebrei non sono affatto quel monolito che noi che non abbiamo l’onore di essere ebrei pensiamo siano; anzi, tra loro litigano da millenni, e non sono d’accordo quasi su nulla; le formule di maledizione più terribili e letterariamente sontuose sono quelle che Dio affida a Mosè nella Bibbia nei confronti del popolo ebraico, e basta rileggersi quella che fu comminata dai correligionari a Baruch Spinoza («sia maledetto di giorno e maledetto di notte, sia maledetto quando si corica e maledetto quando si alza, sia maledetto quando esce e maledetto quando entra…»). La seconda cosa è che ebrei e palestinesi si parlano. Da sempre. Si studiano, si conoscono, trattano. Quando Molinari andò a fare il corrispondente dal Medio Oriente per la Stampa, prese l’ufficio a Ramallah, di fronte alla Muqata’a, dove stavano prima Arafat e poi Abu Mazen. Molinari conosce i palestinesi cento volte meglio degli studenti che non l’hanno voluto ascoltare, nessuno dei quali — ci scommetto — non solo è mai stato a Ramallah in vita sua, ma neppure saprebbe indicarla sulla carta geografica, tipo il governatore dell’Abruzzo con la sua regione. E forse proprio il fatto che ora israeliani e palestinesi non si parlino o non si capiscano più è la causa di questo disastro che miete vite a Gaza, ma imporrà un prezzo molto alto anche agli israeliani.

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Storia

«Ho 60 anni, cerco lavoro, ci mantiene mia figlia»

Sono un padre di famiglia di 60 anni, nonostante abbia presentato numerosi curriculum, non sono stato mai chiamato per un colloquio. Penso perché sono troppo vecchio per il lavoro e troppo giovane per la pensione. Già in passato per la perdita del lavoro, avvenuta nel 2010, ci siamo ridotti all’elemosina tanto che abbiamo perso la nostra casa venduta all’asta con tutto ciò che c’era dentro. Per andare avanti e per non chiedere aiuto per la vergogna, abbiamo fatto fuori i risparmi di una vita, vendendo tutto l’oro e persino le fedi nuziali. Non nego che abbiamo ricevuto tanta solidarietà e aiuti da privati e associazioni comunali e della parrocchia di San Michele, ma ormai i debiti erano tanti e non si poteva fare più nulla. Per un anno siamo stati ospiti di un housing sociale della parrocchia di San Giovanni gestita dal comune. Dopo un anno ci hanno dato una casa popolare: anche se non avevamo nulla, solo reti e materassi, eravamo felici. Per mantenere la famiglia ho trovato un lavoro in nero, lavare le macchine a 5 euro l’ora, ma era l’unica opportunità per pagare affitto e spese. Ho lavorato così fino al 2019, poi in seguito alla pandemia ho perso anche questo posto. È stata dura, ma fortunatamente mia figlia ha trovato lavoro come tirocinante a 600 euro al mese. Ora, mi vergogno a dirlo, è ancora lei a mantenerci, ha 26 anni, e a noi è stata respinta la domanda del reddito di inclusione. Ma non è giusto, mia figlia ha diritto a un futuro. Spero di poter trovare un lavoro. È brutto che un uomo di 60 anni non abbia neanche un soldo in tasca, è senza dignità dirlo ma è così. Io e mia moglie piangiamo in silenzio.
Giacomo Fasone, Busto Arsizio (Varese)

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