(Questo articolo � stato pubblicato su Global, la newsletter di Federico Rampini: per riceverla occorre registrarsi qui)
Appena ritornato dalla Cina sono andato a sentire uno che si occupa della sfida cinese a tempo pieno, o quasi. � Patrick Gelsinger, chief executive di Intel. Per chi non lo sapesse, la Intel � una multinazionale con quartier generale a Santa Clara in California. All’origine ha contribuito a far s� che la Silicon Valley sia chiamata cos�.
Il silicio � una materia prima essenziale per produrre microchip, circuiti integrati, memorie e cervelli di ogni cosa digitale. Il silicio non si estrae in quella zona della California, alla Silicon Valley fu dato quel nome quando lo �consumava� in quantit� enormi, perch� era il centro mondiale nella fabbricazione dei microchip. E Intel era la regina del settore.
Passato remoto, ormai. I semiconduttori hanno avuto una diffusione esponenziale, Gelsinger stima che �entro il 2030 anche un prodotto maturo come l’automobile sar� per il 20% materiale elettronico quindi microchip. La manutenzione di una vettura, le riparazioni, le miglior�e nella sicurezza, avverranno a distanza scaricando gli upgrade o aggiornamenti dal cloud, come oggi facciamo con un iPhone�.
L’Asia ci ha superato sui microchip: ecco perché recuperare sarà lungo e costoso
Il sorpasso da Oriente: Taiwan, Corea, Cina
Ma in questo mondo dove i microchip sono diventati ubiqui, la Intel ha ceduto lo scettro da tempo.
La taiwanese Tsmc � numero uno mondiale, seguita dalla sudcoreana Samsung. Molte aziende giapponesi e cinesi si classificano tra le prime. I cinesi sono indietro sulle categorie pi� avanzate di microchip (i pi� miniaturizzati, che arrivano alla micro-dimensione di 2 nano-metri), e le recenti restrizioni di forniture tecnologiche imposte dall’America puntano a prolungare questo ritardo di Pechino. Per� nei semiconduttori di qualit� media, usati soprattutto per apparecchi come cellulari e auto, la Cina c’� eccome.
Ora l’Intel sotto la guida di Gelsinger ha una missione: recuperare il terreno perduto. Per sua decisione aziendale, e d’accordo con l’Amministrazione Biden che vuole ridurre la dipendenza Usa dall’Estremo Oriente. �L’America – dice Gelsinger – raddoppier� la sua quota di produzione mondiale in un decennio, passando dal 10% al 20% del totale. Possiamo farcela. Ma dobbiamo recuperare trent’anni di ritardo rispetto a Taiwan, Corea del Sud, Cina. Trent’anni durante i quali quei paesi hanno fatto una politica industriale iperattiva, noi no�.
Il numero uno di Intel ha una spiegazione su come a quel ritardo abbiano contribuito scelte strategiche del settore privato in America, compresa la sua azienda. �Abbiamo trascurato e rimpicciolito la nostra capacit� manifatturiera perch� i margini di profitto erano pi� elevati in tutte le attivit� legate al software�. Di conseguenza gli Stati Uniti rimangono leader mondiali nella progettazione, nel design di semiconduttori, soprattutto le tipologie pi� avanzate. Ma dipendono da Taiwan, Corea del Sud e perfino Cina per la produzione industriale di quei microchip.
Perch� l’America torna a produrre in casa
Ora l’orientamento strategico � cambiato. Sotto shock multipli – tensioni geopolitiche con la Cina, pandemia, guerra in Ucraina, timori d’invasione di Taiwan – l’America a tutti i livelli (establishment capitalistico e governo) vuole recuperare il controllo sulla supply-chain, la catena di approvvigionamento e fornitura.
�La parola d’ordine � che nei settori strategici la nostra supply-chain deve cominciare e finire negli Stati Uniti�. Dunque Intel ritorna a un mestiere delle origini che aveva tralasciato: le foundry cio� �fonderie� oppure fab, grandi fabbriche che producono semiconduttori su ordinazione per clienti. � una sorta di mestiere da terzista, che Intel aveva abbandonato per concentrarsi su semiconduttori che usava lei stessa. Sul fronte governativo questo cambio di strategia viene incentivato da leggi come l’Inflation Reduction Act e soprattutto il Chips Act, varate da Biden per distribuire sussidi a chi riporta produzioni sul territorio nazionale. Intel ne sta beneficiando con la costruzione di due fabbriche in Arizona e Ohio.
Un capitalista difende lo statalismo
Una critica viene rivolta a questi programmi di spesa pubblica, in nome dell’economia di mercato. I governi, i politici, non sono adatti a selezionare le aziende vincenti. Non � il loro mestiere, possono fare sbagli madornali e sprecare grandi risorse pubbliche.
Solo la vera competizione di mercato pu� operare questa selezione. Ma Gelsinger difende la politica industriale di Biden con questo argomento: �L’esperienza di Taiwan e della Corea del Sud cosa ci insegna? I governi non scelgono i vincitori, � vero, quelli emergono da dinamiche di mercato. Gli Stati per� possono selezionare i settori industriali che vogliono allevare. In fondo l’America a suo tempo seppe farlo, per esempio con l’agenzia Darpa del Pentagono, che fu all’origine di tante innovazioni incluso Internet�.
La posta in gioco strategica � sottolineata da questa ulteriore evoluzione, che Gelsinger sottolinea: �Ormai tutti i nostri colossi hanno cominciato a disegnare in proprio, a progettare i microchip su misura che gli servono: lo fanno Amazon e Microsoft, Apple e Tesla, un produttore di armamenti come Lockheed, perfino il Pentagono. Hanno bisogno di qualcuno che glieli fabbrichi. Dobbiamo essere noi di Intel a farlo�.
Il settore privato in America deve recuperare anche un altro tipo di ritardo. �Le nostre politiche fiscali hanno disincentivato gli investimenti in ricerca e sviluppo, sono meno deducibili che altrove. Il risultato: la Cina oggi investe il 6% del suo Pil in ricerca e sviluppo, l’America il 2% del Pil�. Gli Stati Uniti conservano una lunghezza di vantaggio nella capacit� di attrarre talenti internazionali. �Ma dobbiamo tornare a una politica dell’immigrazione aperta. Arrivo a dire che chiunque sbarchi qui dall’estero con una laurea in ingegneria elettronica, dovrebbe ottenere automaticamente la nostra Green Card�.
Come trattare Pechino: �Recinto alto, ma stretto�
Sull’embargo contro la Cina, il chief executive di Intel riprende e approva l’espressione usata dal National Security Adviser di Biden, Jake Sullivan: �Le restrizioni al nostro export di tecnologie devono costruire un recinto di protezione molto alto intorno a un cortile molto ristretto e delimitato�.
Cio�: dobbiamo essere severi nell’impedire che Pechino compri da noi o dai nostri alleati le tecnologie pi� sofisticate (microhip inclusi) che potr� usare anche a fini militari. Su tutto il resto, invece, vale il contrario: �Noi dobbiamo vendere alla Cina. Quel paese rappresenta il 25% della domanda mondiale di semiconduttori. Guai a privarci di uno sbocco di mercato cos� largo. Saremmo pi� poveri e quindi meno capaci di finanziare le nostre innovazioni�.
7 aprile 2024, 18:33 - modifica il 7 aprile 2024 | 18:33
© RIPRODUZIONE RISERVATA
