La destra antifascista e la destra reazionaria
Caro Aldo,
ogni 25 aprile abbiamo il festival della retorica. Siamo l’unico Paese al mondo che festeggia una sconfitta. Checché se ne dica è stata una guerra civile e, pertanto, bisognerebbe ricordarla in quanto fa parte della nostra storia ma non festeggiarla. È comunque una festa che divide ed essendo il tempo il miglior medico solo non festeggiarla unirebbe finalmente tutti gli italiani. Gli alleati avrebbero comunque vinto come hanno vinto sulla Germania e il Giappone ma non vi sono state le vergognose scene di giubilo nell’accogliere comunque dei vincitori. Le guerre si vincono o si perdono l’importante è come. La conferma di ciò è nel detto che l’Italia non chiude mai una guerra assieme a chi l’ha iniziata e se sì è perché ha cambiato due volte il fronte. Per non far perdere una festa agli italiani la si potrebbe sostituire con il 4 novembre, anniversario della Vittoria e Festa delle Forze Armate, che tanto si prodigano per la collettività tutta.
Elio Molfini, Napoli
Caro Elio,
Giusto celebrare il 4 novembre. Ma il 25 aprile non dovrebbe essere una festa divisiva. Certo, finiva una guerra civile: ci furono italiani schierati con Hitler e Mussolini. Ma ci furono anche francesi schierati con Hitler e Pétain. Eppure la liberazione di Parigi è festeggiata da tutti. Certo, nell’atteggiamento francese c’è anche un po’ di ipocrisia. Ma, se non altro, loro sono arrivati a una conclusione: era giusto schierarsi contro l’invasore nazista. Noi a questa conclusione non siamo ancora arrivati. Fino al 1994, il 25 aprile non era un problema. Per la grande maggioranza degli italiani era l’inizio di un ponte. Era un giorno di lutto solo per i neofascisti. Ma il partito del centrodestra italiano, la Dc, non aveva problemi a festeggiarlo. I democristiani erano antifascisti. Alcide De Gasperi sotto il fascismo era stato in galera, don Luigi Sturzo in esilio, don Giovanni Minzoni era stato ammazzato a bastonate. Durante la Resistenza i fascisti avevano ucciso 190 tra sacerdoti e monaci, i nazisti centoventi. Alcuni tra i capi della Dc erano stati capi partigiani: Paolo Emilio Taviani, «Pittaluga», ministro dell’Interno; Giovanni Marcora, «Albertino», ministro dell’Agricoltura; Enrico Mattei, «Monti», fondatore dell’Eni. La Resistenza bianca aveva avuto i suoi martiri, giovani ufficiali cattolici, medaglie d’oro al valor militare, che all’evidenza i nostri ministri anti-antifascisti non hanno mai sentito nominare, da Ignazio Vian torturato e impiccato ad Alfredo Di Dio caduto in combattimento. Più in generale, c’erano nella Resistenza molti uomini di destra, monarchici, liberali, conservatori, carabinieri, militari. Del resto erano uomini di destra i grandi avversari del nazismo, Churchill e De Gaulle. Dal 1994 in poi, il 25 aprile è tornato a dividere, per il semplice fatto che la destra ha sempre rifiutato di riconoscersi in un patrimonio di valori comuni. Ci provò Fini, senza grandi risultati. Certo il rifiuto dell’antifascismo è molto diffuso anche nella società, come la sua lettera, gentile signor Molfini, conferma. La pubblico per intero perché dà l’idea dei tanti luoghi comuni cui la sua parte politica crede fermamente. È ovvio che non sarebbero bastati i partigiani a liberare l’Italia dai tedeschi: questa è «un’ovvietà che viene presentata come coraggiosa demolizione di un mito», come ha scritto Claudio Pavone. Ma se noi italiani abbiamo potuto scriverci da noi la nostra Costituzione, anziché farcela scrivere dagli americani come accadde ai giapponesi, è proprio perché c’era stata la Resistenza. Provo a darle qualche motivazione per le scene di giubilo: dal giorno dopo non ci sarebbero più stati ragazzi di vent’anni appesi con il fil di ferro nelle piazze, né bombe sulle case, né coscrizione obbligatoria per combattere al fianco dei nazisti. Quanto al cambiare fronte: cosa dovevamo fare, continuare a morire per Hitler sino allo sterminio dell’ultimo ebreo e alla totale distruzione del Paese? Infine vorrei fare io una domanda a lei: quando darete all’Italia una destra liberale del merito e della responsabilità — meno tasse pagate però da tutti, meno burocrazia, delinquenti in galera — e vi libererete da questo rancore reazionario?
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Storia
«Quei figli che vogliono tutto e al primo “no” vanno via»
Noi di Gruppodonne ci occupiamo di volontariato per la terza età per compagnia e ascolto avendo come obiettivo la prevenzione della solitudine. Abbiamo letto la triste lettera di Paolo Jucker, che in passato ha donato una consistente parte del suo patrimonio al figlio, ricevendone poi ingratitudine. Innanzitutto gli inviamo un abbraccio virtuale. Vorremmo esprimergli inoltre tutta la nostra simpatia e comprensione, e se sarà utile ad alleviare un po’ la sua delusione verso suo figlio, vorremmo dirgli che noi «Over» siamo tutti genitori di «purché tu sia contento». Quasi tutti abbiamo subito la prova d’amore, cioè voglio tutto e subito, che spesso è legato alla continuità di frequentazione, al piacere di vedere i nipotini, o per accontentare l’avidità della persona che sta accanto. Al primo diniego non vedi più nessuno. Cosa ne facciamo del potere della parola se i nostri figli non vogliono il confronto, il dialogo, le scuse reciproche, se la loro scelta è quella di non parlarci più? Se va bene dopo parecchi giorni arriva un messaggio sul cellulare «tutto bene?», come si fa di solito con il vicino di casa. Neanche il piacere di sentire la loro voce, rare le veloci visite di cortesia, niente festività insieme, Natale, Pasqua, compleanni, tutti quelli dei dinieghi sono i rimasti soli. Bene, dobbiamo smettere di elemosinare amore dai nostri figli. Occorre attuare il piano b, mandarli a quel paese e ritrovarsi. Magari scoprendo che è un problema comune, che passerà in secondo grado, perché avremo così tanti impegni insieme da non trovare neanche il tempo per pensarci.
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