
L’offerta di Israele ai miliziani di Hamas. “Arrendetevi e lascerete Gaza”
TEL AVIV — In questi giorni il governo israeliano sta lanciando messaggi agli uomini di Hamas nella speranza di accelerare quella che vedono come una possibile frattura fra i combattenti in superficie e i leader nascosti nei tunnel. Ieri il ministro della Difesa, Yoav Gallant, ha detto che chiunque si arrenderà avrà salva la vita, anche quelli che hanno partecipato all’attacco del 7 ottobre contro le città israeliane e i kibbutz nel Sud. È un cambio sottile ma importante nella retorica della guerra e arriva dopo il messaggio “non morite per Sinwar”, il capo di Hamas, lanciato da Netanyahu due giorni fa. Il giorno prima il consigliere per la Sicurezza nazionale, Tzachi Hanegbi, aveva parlato anche di un possibile salvacondotto per gli uomini di Hamas in caso di resa.
A questo punto una delle notizie più attese nella Striscia di Gaza è diventata l’imminente apertura ai tir carichi di aiuti anche del valico di Kerem Shalom, annunciata cinque giorni fa da Israele ma non ancora avvenuta: potrebbe essere oggi. È attesa perché centinaia di migliaia di sfollati si stanno comprimendo nel Sud, attorno a Rafah e a ridosso del confine con l’Egitto, su indicazione dell’esercito israeliano e per sfuggire ai bombardamenti. I palestinesi dipendono dagli aiuti giorno per giorno e il cibo, la benzina e i generi di prima necessità scarseggiano, ma i tir che passano da Rafah sono per ora meno di quelli che servirebbero.
Sui social alcuni denunciano che Hamas starebbe anche esercitando un controllo stretto su tutto quello che arriva dall’esterno. Ci sono video di convogli scortati da uomini armati, quindi appartenenti a Hamas, e anche di sassaiole da parte di passanti arrabbiati. È la dinamica di questo conflitto applicata al cibo: Israele fa passare poco, Hamas si prende la gestione di quel poco – per prolungare a oltranza i combattimenti contro le truppe israeliane – e la popolazione soffre. Il conteggio dei morti a Gaza, secondo il ministero per la Salute palestinese, è salito a diciottomila.

Prima di entrare a Gaza i camion con gli aiuti devono passare dal piccolo scalo di Nitzana in Israele, dove i militari controllano il carico perché temono che entri materiale di contrabbando. Qualche settimana fa intercettarono alcuni macchinari per la ventilazione che erano disegnati in modo specifico – sostennero – per portare aria fresca in un tunnel sotterraneo e quindi furono collegati subito a Hamas.
Le Nazioni Unite vorrebbero che Israele aprisse anche il valico di Kerem Shalom e lo usasse per i controlli – poi i tir entrerebbero comunque da Rafah, dal lato egiziano – perché dice che Nitzana è un collo di bottiglia e rallenta le operazioni. Il governo israeliano ribatte per bocca del portavoce Eyon Levy che lo sta per fare ma non sono i controlli israeliani a ritardare le operazioni umanitarie, è proprio che i tir non arrivano. L’apertura della seconda piazza per le perquisizioni dovrebbe risolvere la questione, ma ieri Juliette Touma dell’Unrwa, l’agenzia delle Nazioni Unite per gli sfollati palestinesi, ha detto al Washington Post che in realtà il problema per gli spostamenti dei tir nel Sud di Gaza sono i bombardamenti.
