Metti una sera da Augias Pio XII, la Segre, il papabile

Caro Aldo,
lunedì, forse, la più bella puntata de «La Torre di Babele» di Corrado Augias. Tra gli ospiti, la senatrice Liliana Segre e il cardinale José Tolentino de Mendonça, prefetto del Dicastero per la Cultura. Ringrazio il giornalista per l’equilibrio sul giudizio storico sulla figura di papa Pacelli. Come tutti i Pontefici, lasciati soli nelle decisioni difficili. Ma la Chiesa ha avuto un Papa forte, unica voce contro il nazismo e l’antisemitismo. Parlo di Pio XI, che nel 1937 scrisse la «Mit brennender Sorge», dura reprimenda al terzo Reich. A differenza di Pacelli, fine diplomatico che veniva dalla aristocrazia romana, Pio XI era un montanaro brianzolo che non le mandava a dire: nel 1939 si rifiutò di ricevere Hitler, in visita ufficiale in Italia; fece chiudere i musei vaticani e si ritirò a Castel Gandolfo.
Stefano Masino, Asti

Caro Stefano,
La trasmissione di Corrado Augias conferma che si può fare tv con garbo, senza urlare, senza creare per forza un mondo parallelo e immaginario, sia distopico — sta tornando il nazifascismo e stavolta vincerà la guerra mondiale — sia utopico: il clima non sta cambiando, i prezzi scendono, i salari salgono e l’economia va che è una meraviglia. La vicenda affrontata da Babele si può così sintetizzare: Pio XII, come dimostra il lungo lavoro di ricerca di Andrea Riccardi, salvò (o consentì a Montini di salvare) molti ebrei, ma non denunciò la persecuzione per mantenere l’equidistanza tra i belligeranti. Ma contro Hitler non c’era solo Stalin, c’erano le liberaldemocrazie anglosassoni, che Pacelli non amava; anche se poi la scelta vaticana della democrazia sarà decisiva per la grande vittoria di De Gasperi del 18 aprile 1948. Aggiungo due considerazioni. Lei fa bene, gentile signor Masino, a ricordare le critiche di Pio XI — Achille Ratti, predecessore di Pacelli — a Mussolini e a Hitler. Troppo spesso Pio XI viene inchiodato a una definizione — «l’uomo della Provvidenza» — che tecnicamente non ha mai scritto né pronunciato («e forse ci voleva anche un uomo come quello che la Provvidenza Ci ha fatto incontrare…» scrisse a proposito della riconciliazione con lo Stato italiano: non è la stessa cosa). E quasi mai si ricordano i suoi contrasti con il Duce, che ai giornali ordinava: «Ignorare il Papa» o anche «poco Papa». La ringrazio anche per aver citato, oltre alla senatrice Liliana Segre, il cardinale José Tolentino de Mendonça. Poeta, figlio di pescatori, un piede nell’empireo e uno nel popolo, va tenuto d’occhio per il prossimo Conclave.

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Storia

«Quelle parole inesatte che rivelano un antisemitismo inconscio»

Che dire di un italiano (o francese, inglese ecc) che debba render conto, in quanto nato ebreo, dei crimini perpetrati dal governo israeliano a Gaza? Goffredo Buccini nell’articolo «Il processo alla Corte dell’Aia e l’antisemitismo eterno» (16 gennaio) elenca alcuni casi raccolti al Centro di documentazione ebraica contemporanea (Cdec) a seguito dell’ondata di antisemitismo suscitata dai tragici eventi in Israele e Gaza. Tra l’altro, Buccini riporta l’interrogazione subita in un liceo romano da uno studente ebreo chiamato a «esporre le ragioni di Israele» in classe. Ora, perché dovrebbe mai esporre in classe uno studente ebreo le ragioni di Israele? Solo per essere nato ebreo? Come se uno studente inglese dell’800 dovesse rispondere di quanto fatto dagli americani contro i nativi. Temo che troppe volte si siano usati in modo per lo meno disattento i termini israeliano ed ebreo, al punto che prevedere un’ondata di antisemitismo in seguito ai bombardamenti di Gaza, come poi è avvenuto, sia parso ovvio. Si tratta di confusioni condivise da molti. In tv ad esempio si fa un uso intercambiabile dei termini «esercito ebraico» ed «esercito israeliano». Al fraintendimento contribuisce pure quella parte dell’ebraismo particolarmente legata ad Israele sino a confondersi con esso. Attenzione anche all’abuso dell’accusa di antisemitismo. Chi afferma che in Israele, e in particolare nei territori occupati, esista l’apartheid, esprime un giudizio politico (condiviso sia da gruppi di ebrei e di israeliani) e non merita di essere accusato per questo. Non è che mi sfugga un certo compiacimento nel parlare di apartheid, l’uso del termine «nazista» nel descrivere le azioni belliche degli israeliani o la scelta del termine «genocidio» invece di «crimini di guerra». Queste scelte denotano un antisemitismo per lo meno inconscio. Un inconscio che dice «finalmente si può parlare male degli ebrei… usiamo contro di loro i termini che ci hanno reiterato nelle Giornate della Memoria».
Bice Fubini

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