Capolista alle Europee per puntare al 30%. Il piano di Meloni mette in crisi Salvini

Capolista in tutte le circoscrizioni. In campo, alle Europee. Come ieri sul palco di Atreju. Scioglierà ufficialmente la riserva dopo Natale, probabilmente entro fine gennaio, ma nelle ultime ore Giorgia Meloni ha già lasciato intendere ai suoi fedelissimi che correrà. A malincuore — “pure questa mi volete costringere a fare…” — ma lo farà. Secondo una versione apocrifa che gira nell’esecutivo, l’intenzione sarebbe stata addirittura confidata mercoledì scorso ad Emmanuel Macron, durante la lunga notte di bevute e strategie attorno a un tavolino dell’hotel Amigò. Che sia vero o meno, resta la sostanza: la presidente del Consiglio ha sciolto la riserva, perché non pensa che esistano alternative per difendere il suo esecutivo e il suo personale consenso. Perché è certa che il gradimento attorno alla sua persona non calerà nei prossimi sei mesi. Definirà un successo il raggiungimento di quota 26%, che è la percentuale delle ultime politiche. Ma ha in testa un numero: 30%. Ritiene alla portata quella cifra per Fratelli d’Italia. Ed è convinta che una volta conquistata quella vetta nessuno riuscirà più a fermarla.

Che sia già in campo lo si è capito ieri, dal palco con vista sulla pista di pattinaggio di Castel Sant’Angelo. Nel backstage, ad ascoltarla, c’è la figlia Ginevra, in prima fila l’attrice Anna Falchi, tra i giornalisti il direttore del Maxxi Alessandro Giuli, mentre venerdì nell’area vip era passata a salutare anche Nunzia De Girolamo. Meloni sceglie parole di fuoco contro gli avversari, un registro spinto a destra che si condensa attorno a una narrazione: io e gli italiani da una parte, tutti gli altri contro. Contro la sinistra, i sindacati, i partiti, i giornali, gli influencer. Niente o quasi, invece, sull’Ucraina: non è più un tema da spendere in campagna elettorale. Nessun affondo neanche contro l’Europa di Macron e Scholz, che è la stessa di Ursula von der Leyen: con loro dovrà costruire un’alleanza per la prossima Commissione, meglio evitare di esporsi. Tutti indizi che portano alla stessa conclusione: la candidatura è ormai decisa.

Che Meloni voglia consolidare la propria leadership con il voto europeo l’hanno capito anche Matteo Salvini e Antonio Tajani, che difficilmente potranno evitare di candidarsi a loro volta. Il primo, in particolare, teme questa prospettiva. Da tempo, la Lega del Nord ribolle. La sofferenza è più acuta in Veneto e Lombardia — riferiscono diverse fonti — dove il corpo produttivo lamenta con i dirigenti locali del Carroccio l’assenza di iniziativa e la scarsa influenza nel processo decisionale nazionale. Questa dinamica ha provocato tensioni sotterranee, in particolare tra il leader e Luca Zaia. Il resto lo fanno i sondaggi, che non sembrano sorridere al vicepremier. La soglia sotto la quale partirebbe il processo interno è il 10%, comunque lontana anni luce dal fantasmagorico 34,3% del 2019. Per tutte queste ragioni, il segretario della Lega ha alzato il tiro contro l’Europa. E ieri, dal palco di Atreju, ha cercato gli applausi dei militanti scandendo gli slogan più cari alla destra, a partire da quelli contro i migranti.

Non sembra bastare, a occhio. Meloni insiste a sua volta su tasti cari all’elettorato sovranista. Smette i panni istituzionali da premier per radicalizzare il quadro politico, riducendo la scelta a un bivio: noi, oppure Elly Schlein. La presidente del Consiglio cerca la polarizzazione con la segretaria dem. Ritiene, in questo consigliata dai consulenti che periodicamente la aiutano a stabilire la strategia, che un duello con la leader del Partito democratico la avvantaggi. Questo lascia supporre che al momento debito accetterà anche il confronto televisivo con la numero uno del Nazareno. Meloni non nomina, invece, Giuseppe Conte, anche se si scaglia con insistenza contro le sue politiche: anche questa tattica le è stata consigliata dagli esperti, con la convinzione che tenendo basso il conflitto diretto con il Movimento riuscirà eviterà di incoraggiare la partecipazione al voto dei grillini.

Candidarsi alle Europee, per la presidente del Consiglio, significa anche preparare Fratelli d’Italia alla nuova sfida. Lo sanno i dirigenti che seguono il risiko europeo: Nicola Procaccini e Carlo Fidanza, ma anche Francesco Lollobrigida. Ne è consapevole Raffaele Fitto, che considera vantaggiosa e politicamente sensata la corsa della presidente del Consiglio. Giovanni Donzelli si muove dando per scontato questo scenario. E pure Arianna Meloni, sorella della leader a lungo considerata in pole per una candidatura, ragiona partendo da questa certezza, che esclude di conseguenza un suo impegno: “Io preferisco stare dietro le quinte perché credo sia più utile così — premette — Sono un soldato, quindi faccio sempre quello che mi si dice, ma decisamente no: il mio ruolo è molto più utile così”. Ormai si attende solo l’annuncio.