Come e perché il tennis grazie a Jannik Sinner è diventato un fenomeno di massa
Il Mosè del nostro tennis è Jannik Sinner. L’ex ragazzo di Sesto Pusteria è la profezia che si autoavvera. Ormai questo sport non è più solo una passione per pochi. D'altronde, più siamo, meglio si sta
E pazienza se non è stato davvero quello il momento in cui ha saputo. Mentre l’intervistatore Fabrice Santoro gli faceva l’ultima domanda, annunciandogli al centro di uno dei principali teatri del sogno tennistico che era il nuovo numero 1 del mondo, ha abbozzato un sorriso che sembrava fatto di commozione e di stupore. Erano le stesse sensazioni che stava provando chiunque abbia vissuto questa lunga traversata nel deserto.
Quelli che ancora non gli è passata per il fallo di piede chiamato a Potito Starace sul match point contro Marat Safin, esattamente 20 anni fa, qui a Parigi. Quelli che soffrirono al Forum quando Andrea Gaudenzi ci lasciò un tendine del braccio contro Magnus Norman, e noi perdemmo l’ultimo treno per vincere una Coppa Davis. Quelli che ancora ricordano il 1992 e Maceio, la Corea del nostro tennis, Stefano Pescosolido divorato dai crampi e la retrocessione dell’Italia in serie C.
Poi la lenta risalita, la soddisfazione quando Andreas Seppi o Fabio Fognini arrivavano alla seconda settimana di uno Slam, la finale a Wimbledon di Matteo Berrettini, per tacere di quelle di Sara Errani, Francesca Schiavone, Sara Pennetta, Roberta Vinci. Ma ogni volta che uno dei nostri aveva l’occasione della vita, scattava sempre il pensiero «speriamo che ce la faccia, chissà quando gli ricapita». Con Sinner è stato diverso fin dall’inizio. Abbiamo sempre saputo che stava arrivando, e che sarebbe rimasto a lungo.
Il Mosè del nostro tennis è lui. L’ex ragazzo di Sesto Pusteria è la profezia che si autoavvera. Anche la sua reazione ce lo ha confermato. È stato capace di dare il giusto peso a un traguardo che per quanto enorme rimane pur sempre simbolico. Non si fermerà qui. Adesso che i media dedicano finalmente il giusto spazio al tennis, i vecchi appassionati non devono sentirsi come i fan dei Rem quando Losing my religion trasformò quel gruppo di culto in un fenomeno di massa. Più siamo, meglio si sta. Anche per questo ci piace ricordare chi ha vissuto e raccontato quei tempi grami. Ieri pomeriggio, il nostro amato Roberto Perrone avrebbe acceso uno dei suoi sigari. E forse, si sarebbe pure commosso. Come abbiamo fatto noi.