La coppia con l'autismo scoperto da adulti: «Anche fare la spesa è dura»
A Ravenna Martina Monti, impiegata ed ex assessora, e Pippo Marino, insegnante e vicepreside: «Non si ha idea di cosa sia l'autismo, anni di psicoterapia senza affrontare i sovrastimoli. Pure stare fermi è difficile»
«La percezione è che la gente non abbia idea di che cosa sia l’autismo. Tanti pensano a Rain Man il film con Tom Cruise e Dustin Hoffman. Altri pensano al bambino che si dà i pugni in testa. Ma la verità, anzi, la realtà è un'altra ed è molto diversa». Martina Monti, 35 anni, e Pippo Marino, 48 anni, sono marito e moglie. Lei, impiegata in un patronato Cgil a Ravenna, con alle spalle un passato da assessore comunale, lui, insegnante di inglese, vicepreside del Liceo artistico della città. Hanno deciso di raccontare la loro storia personale: entrambi hanno ricevuto una diagnosi da adulti. Una parte della popolazione su cui non esistono dati di incidenza di questo disturbo mentre al contrario è noto che in Italia 1 bambino su 77 ha ricevuto una diagnosi di autismo. Martina e Pippo si sono conosciuti nel 2017.
«Fu un innamoramento lentissimo, ed entrambi siamo arrivati insieme a ricevere questa diagnosi». Spesso, però, tanti adulti con disturbi dello spettro autistico non riescono ad intraprendere alcun percorso. «Io, Martina, ho fatto anni di psicoterapia e ho scoperto spesso che la psicoterapia non è tarata sull’autismo lieve e quindi sull’autismo nell’adulto. Nessuno mi ha mai suggerito di pensare allo spettro autistico. Nonostante i soldi investiti sulla psicoterapia. Vogliamo raccontare la nostra storia per fornire un input ad altre persone in difficoltà».
Martina e Pippo, come siete arrivati alla diagnosi da adulti?
«Una cara amica di Martina ha un figlio che soffre di disturbi dello spettro autistico e lei stessa è arrivata alla stessa diagnosi dopo aver notato certe similitudini tra i propri comportamenti e quelli del figlio. In Martina rivedeva alcuni comportamenti simili ai suoi e Martina, a sua volta, vedeva in me comportamenti altrettanto simili. Entrambi abbiamo sempre avuto a che fare con gli psicoterapeuti perché i nostri problemi di ansia, cito in particolare l’ansia sociale. Questa nostra amica ci ha consigliato il centro "Cuore mente lab" di Roma, tra i pochi specializzati in Italia per quel che riguarda i disturbi dello spettro autistico negli adulti. A Roma venne fuori che entrambi rientravamo non solo all’interno dello spettro autistico ma anche nel adhd ovvero il disturbo da deficit di attenzione/iperattività. Altro disturbo frequentemente diagnosticato nei bambini ma meno negli adulti».
Potete fare un esempio concreto, tratto dalla vita di tutti i giorni?
Martina: «Banalmente stare fermi davanti a una scrivania per otto ore a lavoro per una persona neurotipica può sembrare la cosa più banale, facile e normale del mondo. Per chi come me ha un adhd, che sono iperattiva e faccio un lavoro impiegatizio è molto dura: devo necessariamente muovere le mani, per esempio con le palline o il fidgets spinner. Non è un disagio da poco e non è immaginabile da un neurotipico. Che magari può comprendere in senso assoluto il bisogno di muoversi ma non può intuire il nostro punto di vista. Ecco, immaginate quanto possa essere terribile fare un colloquio di lavoro: può capitare di mostrare certi atteggiamenti come mangiarsi le unghie – e faccio solo un esempio - che se esplicitati da una persona neurotipica tradiscono insicurezza, nervosismo, svogliatezza ma che nel mio caso sono semplicemente manifestazioni di iperattività, e quindi un disturbo».
Pippo: «Io ho sempre avuto la sensazione di essere diverso dagli altri. Spesso venivo emarginato, subivo bullismo, non riuscivo ad adeguarmi ai giochi che facevano gli altri bambini. Per compensare ho iniziato a fare il "camaleonte", imitavo. Durante l’infanzia gli altri bambini, durante l’adolescenza gli altri ragazzini e così via. Insomma cercavo di essere accettato dalla microsocietà di cui facevo parte. Pensavo in qualche modo di essere sbagliato o mal funzionante, per questo cercavo di imitare gli altri. È stata una sofferenza: non sei autentico ma indossi una maschera. Non uso termini casuali: in gergo medico questa tendenza si chiama proprio masking. E il masking genera ansia, attacchi di panico e talvolta il ricorso a psicofarmaci, per esempio antidepressivi. Va fatta però una premessa. Diciamo un masking buono: viviamo in un mondo fatto per neurotipici e questo è un dato di fatto. Il masking talvolta serve per sopravvivere. Ma c’è anche un masking cattivo che implica lo snaturarsi, l’essere completamente un’altra persona senza lasciare un briciolo di spazio alla propria soggettività. Succede che perdi te stesso e cominci ad avere attacchi di panico».
Lei Martina, ha un passato da assessore. Neppure troppo recente, la sua nomina risale al 2011. E la premessa è che oggi ha 35 anni all’epoca ne aveva 23. Giovanissima. Come visse quell’esperienza?
«Gli autistici hanno interessi "assorbenti", interessi da cui vengono interamente assorbiti per tutta la giornata. Io non facevo altro che leggere libri di politica nazionale e internazionale e locale. Ero informatissima sulla "teoria" politica ma anche sui discorsi che questo o quel politico facevano. E quindi "camaleonticamente" ero perfettamente in grado di tenere un discorso in pubblico. Poi una volta diventata assessore si palesò la necessità di confrontarsi direttamente con le persone, elettori, colleghi, cittadini. E bisognava farlo con una delega complicata come quella alla Sicurezza e tempo da investire per studiare e laurearmi in giurisprudenza. All’epoca non sapevo di essere autistica: l’interazione sociale era diventata insostenibile, tanto che fui ricoverata due volte al pronto soccorso perché avevo sofferto di coliche allo stomaco. I medici dissero che erano dovute al fatto che non si decontraeva più per lo stress. Posso dire che probabilmente non rifarei tornando indietro nel tempo l’esperienza di assessore».
Che percezione credete abbia la società delle persone con disturbo dello spettro autistico?
«La percezione è che la gente non abbia idea di che cosa sia l’autismo. Tanti pensano a “Rain Man” il film con Tom Cruise e Dustin Hoffman. Quando va male in tanti pensano al bambino che si dà i pugni in testa. Ma la verità è che non si ha la più pallida idea di che cosa sia l’autismo. A volte la sensazione è che la società considera gli autistici dei "poveri handicappati" talvolta, azzardiamo, anche con un’accezione negativa screditante. La verità è che la definizione “spettro autistico” ha un significato preciso e ampio: c’è una gamma enorme di sfumature. Ci sono le persone non verbali, che non riescono a comunicare e a interagire. Sono casi gravi e difficili. E poi ci sono altri casi: noi per esempio siamo stati diagnosticati ad alto potenziale cognitivo. Ma anche con un q.i. superiore alla media abbiamo difficoltà notevoli. Martina ha avuto diritto alla legge 104 per avere una riduzione dell’orario di lavoro necessaria ad evitare il burnout. Significa andare in esaurimento mentali da sovrastimoli».
Che cosa intendete per sovrastimoli?
«Vale la pena fare un esempio. Non faccio più la spesa. Entrare al supermercato costa uno stress pari a un giorno di lavoro intero: luci alte, le persone intorno, il fastidio di essere toccati. Quando ci vado devo andarci con le cuffie anti rumore, perché sono "iper-uditiva". C’è chi, invece, soffre molto le luci perché percepisce molti più input luminosi rispetto al normale. Personalmente, molti vestiti mi fanno venire l’ansia se indossati, certe texture mi innervosiscono. Sono esempi di sovrastimoli».
La vostra storia è stata raccontata parecchie volte in questi giorni. Il motivo che vi ha spinto a renderla nota?
«Creare un po’ di curiosità. Tante persone si riconosceranno in alcuni tratti nella nostra storia. E magari molte di loro, che forse sono in cura per l’ansia o altri disturbi, potrebbero scoprire che in realtà hanno un problema di neuro divergenza. Per loro sarà una porta da aprire per vivere in pace. Non ci illudiamo e non illudiamo nessuno, la qualità della vita è pressoché la stessa dopo la diagnosi: noi però siamo molto più consapevoli, non ci colpevolizziamo per quello che siamo, come un tempo e ci accettiamo. È molto liberatorio poter dire "non sono io che non funziono ma sono neuro divergente". Io, Martina, ho fatto anni di psicoterapia e ho scoperto spesso che la psicoterapia non è tarata sull’autismo lieve e quindi sull’autismo nell’adulto. Nessuno mi ha mai suggerito di pensare allo spettro autistico. Nonostante i soldi investiti sulla psicoterapia ero sempre allo stesso punto».
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