Energia atomica, così il governo fa le prove sul nucleare (che la legge già permette)

Potrebbe sembrare molto rumore per nulla. Tutti parlano ormai di fissione nucleare civile in Italia. Il governo Meloni, certo, già uscito allo scoperto fin dalla campagna elettorale. Ma anche l’amministratore delegato dell’Eni Claudio Descalzi («non possiamo più dire no»). Roberto Cingolani, ceo di Leonardo, che è stato forse uno dei primi a rompere il tabù dell’atomo intervenendo già in veste di fisico e ministro della Transizione ecologica del governo Draghi. 

Come si muovono le agenzie internazionali

Anche alla Bei, la Banca europea degli investimenti (mezzo trilione di bilancio) è cambiato il vento: a differenza del suo predecessore, Nadia Calviño, ex ministro dell’Economia spagnola, non ha escluso il nucleare tra i nuovi investimenti «sui reattori modulari». Era dal 1987 che la Bei stava alla larga dall’atomo a meno che non si trattasse di tecnologie del tutto diverse come quella della fusione nucleare (ancora in fase sperimentale, per ora, a dispetto degli avvoltoi dell’argomento che fanno finta di non sapere che scienza e soldi hanno due velocità diverse). Anche Rafael Grossi, numero uno dell’Aiea, grazie anche alla visibilità acquisita in Ucraina, torna spesso sul tema (da non dimenticare che il numero due, Massimo Aparo, è italiano, un super esperto di crisi che ha gestito anche il dossier Iran). 

Cosa si muove in Italia

Ma cosa c’è di concreto in Italia? In realtà molto di più di quanto si possa pensare. Cerchiamo di ricostruire un quadro frammentato. La situazione italiana non è facile. Basterebbe pensare che, sebbene sia rimasto nell’immaginario collettivo come un sinonimo di cervellone, «l’ingegnere nucleare» in Italia è stato a lungo un panda. Nel 1987, appena dopo il referendum che bloccò il nucleare in Italia sulla scia del disastro di Chernobyl, le iscrizioni nelle università italiane crollarono a poche decine. Il corollario del referendum era chiaro: non c’è futuro nel mondo del lavoro, a meno di non voler cambiare settore. 

Le radiazioni molto usate e molto utili

Parliamo di specializzazione nelle centrali nucleari. Perché anche se è meno noto le radiazioni sono molto usate e molto utili (sembra un paradosso) in campo medico. Una delle prime azioni di Marie Curie fu costruire insieme alla figlia Irène Joliot-Curie (anche lei premio Nobel, con il marito, per lo studio delle radiazioni artificiali) una macchina per fare le radiografie sul campo ai soldati durante la Grande guerra. Lo stesso Stefano Pessina, che ha costruito il più grande impero della distribuzione farmaceutica con Ornella Barra, è un ingegnere nucleare del Polimi. Comunque, altri campi a parte, non sono stati in molti a puntare su questi studi in Italia rispetto ai Paesi, come la Francia, dichiaratamente da sempre pro-atomo. Una bella contraddizione se si pensa che l’atomo è stato rotto da Enrico Fermi (anche se, all’inizio, pensava di aver trovato nuovi elementi più che aver spezzato l’uranio). 

Il (nuovo) ruolo dell’Enea

Dunque, si capisce perché ora il governo, soprattutto con il ministro Gilberto Pichetto Fratin, punti sui giovani anche, ma non solo, attraverso l’Enea. Oggi quell’acronimo significa Ente per le Nuove tecnologie, l’Energia e l’Ambiente. Ma fino alla fine degli anni Ottanta Enea stava per Energia Nucleare ed Energie Alternative. Ora 135 milioni del fondo Mission Innovation (dunque il Pnrr non c’entra) sono stati dati all’Enea e al Cnr per lo sviluppo di facilities di ricerca per costruire tecnologie di fissione che le imprese italiane potrebbero poi usare all’estero. Un primo passo, nell’attesa che cambino le leggi. Di mezzo, sappiamo, c’è lo scoglio del referendum. Ma c’è chi nel governo lo considera superabile in un «paio di anni», dunque prima della fine della legislatura. Non c’è dubbio che anche per la premier Giorgia Meloni sia un obiettivo a lungo termine, uno dei cambi epocali che vorrebbe portare a casa, almeno da contrapporre al Ponte sullo stretto di Messina, cavallo di battaglia salviniano. 

Il nucleare non nucleare

Un altro pezzetto del puzzle va cercato nel centro Enea di Brasimone dove lo stesso ente guidato da Gilberto Dialuce (nominato dall’allora ministro Cingolani ed esperto riconosciuto del tema rispetto ad altri presidenti che in passato erano stati scelti dalla politica fuori dal perimetro degli scienziati) ha un investimento del fisico Stefano Buono di Newcleo (ex collaboratore del premio Nobel Carlo Rubbia, già presidente dell’Enea oltre che numero uno del Cern) per sviluppare un «reattore nucleare che non è nucleare». Cosa vuole dire? In sostanza la tecnologia di Newcleo per la quale Buono ha già parlato con il presidente francese Emmanuel Macron ha bisogno di una validazione scientifica per dimostrare che tutto funzioni nell’idrodinamica del piombo (i suoi reattori dovrebbero funzionare con il metallo liquido al posto dell’acqua). A Brasimone, dunque, si sta progettando una centrale senza però che ci sia «l’ultimo miglio», cioè il materiale radioattivo (visto che altrimenti sarebbe fuorilegge). 

Il progetto di Ansaldo

Più incerto appare invece il quadro per il progetto con l’Ansaldo Nucleare, la Romania e il Belgio. In questo caso l’idea è stata quella di sviluppare la tecnologia sempre al piombo, ma all’estero, così da avere un’altra scappatoia. Peraltro i passati vertici dell’Ansaldo Nucleare non avevano fatto mistero di non gradire la collaborazione dell’Enea con la «concorrente» Newcleo. Dimenticando che l’Enea è un ente pubblico che dunque non può fare preferenze. Per capire cosa accadrà in Romania bisognerà tenere gli occhi aperti sulla Westinghouse. Un nome che conta: George Westinghouse fu amico e finanziatore di Nikola Tesla nella famosa guerra della corrente di fine Ottocento, proprio come il banchiere Jp Morgan fu il finanziatore di Thomas Edison. La Westinghouse (per ora c’è un MoU) entrerà solo se ci saranno delle concrete finalità commerciali. E magari prima o poi arriveranno anche degli aiuti di Stato da Bruxelles visto che per l’Europa la fissione fa parte del green deal e degli obiettivi di abbattimento della CO2. Per ora basterebbe andare a rileggere il decreto legislativo 101 del 2020 in attuazione della direttiva Euratom del 2013: c’è già descritta tutta la procedura per chi volesse chiedere le autorizzazioni di sicurezza per l’apertura di un impianto nucleare. Insomma, potrebbe essere: poco rumore per molto.

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