La rivoluzione dei laser in guerra: nel Mar Rosso usati per abbattere oltre 90 droni Come funziona la nuova arma
Sempre meno fantascienza e sempre più realtà: la guerra nel Mar Rosso tra la US Navy e ribelli Houthi e il successo della Royal Navy britannica (che con un laser ha abbattuto dei droni in un test), avvicinano l'era delle nuove armi
Un colpo notturno del sistema laser DragonFire - Credit: Royal Navy
Dopo circa un decennio di ricerca e decine di milioni di dollari spesi, per la Marina Militare americana sembra arrivato il momento di imboccare definitivamente la via delle armi laser per le sue navi da guerra. Armi progettate per accecare o distruggere droni e aerei nemici senza dover più ricorrere a costosissimi missili. A spingere decisamente in questa direzione sono lo stato di guerra (non dichiarata ma in atto) nel Mar Rosso tra la US Navy e i ribelli yemeniti Houthi e i recenti successi tecnologici raggiunti in questo campo dalla Royal Navy britannica.
Una costosa guerra a distanza
Tra il mese di ottobre 2023 e gennaio 2024 la Marina americana ha abbattuto oltre 90 droni e numerosi missili da crociera e balistici lanciati dallo Yemen. Nel solo attacco del 10 gennaio le forze navali statunitensi e del Regno Unito hanno abbattuto 18 droni, 2 missili da crociera e un missile balistico antinave. Per quanto questa sia una spettacolare dimostrazione dell’efficienza dei sistemi antiaerei americani e inglesi, tuttavia dà anche la misura di quanto possa essere costosa una guerra portata avanti in questo modo così particolare. Da una parte, infatti, ci sono droni e missili iraniani relativamente low-tech e a basso costo, mentre a fronteggiarli vi sono i costosi missili occidentali hi-tech. Per giunta, se si esclude l’impiego dei caccia d’attacco Super Hornet che hanno abbattuto i droni, quasi sempre nessuno dei due contendenti vede l’altro, dato che la maggior parte dei combattimenti avviene ben oltre la portata visiva ed è condotta utilizzando sensori radar e infrarossi per acquisire e abbattere gli ordigni in arrivo. E tutto questo ha un costo enorme. Basti pensare che ogni missile SM-2 (missili da difesa aerea imbarcati su navi tipo fregate) costa 2,1 milioni di dollari, mentre un missile a corto raggio ESSM costa solo (si fa per dire) 1,8 milioni di dollari. A questo punto è chiaro che se per abbattere un drone iraniano dal costo di circa 100.000 dollari possono volerci anche un paio di missili, il gioco non vale più la candela e il conto può arrivare facilmente a svariate centinaia di milioni di dollari. E all’orizzonte non si vede la fine della missione nel Mar Rosso.

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I vantaggi del laser
Per produrre missili antiaerei ad alta tecnologia occorre, dunque, non solo molto denaro, ma anche molti materiali, competenze e lunghe e complesse fasi produttive. Per risolvere questo problema di costi e tempi, fin dall'inizio degli anni 2010, la US Navy ha rivolto l’attenzione ai laser come sistema d’arma per la difesa aerea. Trattandosi di armi a energia diretta (fasci di luce estremamente concentrati e ad alta energia) i laser hanno il grande vantaggio di funzionare con la corrente elettrica e quindi possono essere alimentati dai motori a turbina di una nave. Dunque, finché i motori hanno potenza, il laser può sparare, teoricamente, un numero illimitato di colpi. Questo non solo elimina di fatto i problemi di rifornimento di munizioni (il laser non ne ha bisogno) ma abbatte anche drasticamente i costi di esercizio perché, in pratica, il costo per sparare un colpo di laser è semplicemente quello del carburante necessario a generare l’elettricità indispensabile e può arrivare, addirittura, a un solo dollaro per colpo. Nel corso degli anni la US Navy ha sperimentato diverse soluzioni e tecnologie laser come l’ODIN (Optical Dazzler Interdictor Navy) un sistema a bassa potenza progettato per abbagliare o distruggere i sensori ottici dei droni ma non abbastanza potente da garantirne la distruzione. Oppure il sistema ad alta energia HELCAP (High Energy Laser Counter-Anti-Ship Cruise Missile Program) destinato a intercettare il missile prima che colpisca la nave. Tuttavia, tutti questi sistemi hanno dei grossi limiti tecnologici da superare. Secondo la Marina, ad esempio, HELCAP ha bisogno di 300 kilowatt di potenza per riuscire non solo a raggiungere e tracciare un missile in arrivo, ma soprattutto per distruggere la sua elettronica e far esplodere il carburante o la testata.
Un segnale dal vecchio mondo
Come era facile attendersi, gli americani non sono certo gli unici a condurre esperimenti in questa direzione. Anche i britannici della Royal Navy ci stanno lavorando da un decennio, investendo circa 100 milioni di sterline e proprio a inizio 2024 hanno annunciato di aver ottenuto un significativo successo con il loro sistema laser DragonFire che per la prima volta ha distrutto con successo dei droni aerei. Il bello di questo sistema (testato dagli scienziati del governo di Sua Maestà britannica in un poligono del Ministero della Difesa nelle isole Ebridi) è che un solo colpo (in realtà un solo fascio ad alta energia) non costa più di 10 sterline ma può abbattere droni, missili e aerei in arrivo. Dragonfire è stato sviluppato dalle industrie del Regno Unito che lavorano con il Dstl (Defence Science and Technology Laboratory) i laboratori governativi del Ministero della Difesa e può, in teoria, ingaggiare qualsiasi bersaglio, anche uno che viaggia alla velocità della luce ma, al momento, la sua reale portata è coperta dal segreto militare. Per essere efficace, deve concentrare in un unico punto il suo fascio ad alta potenza per circa dieci secondi e questo richiede che il sistema di puntamento e tracciamento abbia una precisione equivalente a colpire una moneta da un chilometro di distanza. In questo modo si ottiene la distruzione del bersaglio se il laser viene concentrato, ad esempio, su una testata esplosiva. Secondo gli sviluppatori una raffica concentrata di dieci secondi del Dragonfire non costa più del funzionamento di una stufa elettrico per un’ora. Al momento questo sistema non può essere montato sulle navi già esistenti della Royal Navy, ma potrà essere installato su quelle attualmente in costruzione come le fregate di "tipo 26 o 31".
Solo una questione di tempo
Insomma, dopo questo primo e concreto successo britannico e dopo altri esperimenti positivi condotti in passato dalla US Navy, la strada verso un futuro prossimo a base di armi laser sembra spianata. E, a questo punto, è più che probabile che la Marina statunitense, pressata dalla necessità di abbattere i costi, spinga decisamente sull’acceleratore per dotare quanto prima le proprie navi di questi nuovi sistemi d’arma. Dunque, sembra essere solo questione di tempo.