Le tre lezioni dell’anniversario del D-day. Per ottenere la pace talvolta bisogna vincere la guerra | Corriere TV

Che cosa ci deve insegnare l'ottantesimo anniversario dello sbarco alleato in Normandia? Tre cose. 
La prima è che c'è stato un tempo in cui per ottenere la pace bisogna vincere una guerra. E questo può ancora accadere. E la ragione per cui gli ucraini continuano a combattere nonostante i consigli dei tanti generali da poltrona di casa nostra, convinti che la pace sia una resa e che valga solo la legge del più forte.

Il secondo insegnamento che ci viene dal ricordo del D-Day è che a liberare questa parte d'Europa sono stati gli americani, i britannici, i canadesi, con un enorme tributo di giovani vite l'Armata Rossa che non entrò in guerra finché Hitler non invase l'Unione Sovietica, liberò i popoli baltici, i polacchi, gli ungheresi cechi, gli slovacchi, rumeni, ma solo per imprigionarli subito dopo, dietro la cortina di ferro della dittatura comunista, prigione in cui sono rimasti per 45 anni.

Il terzo insegnamento è per noi italiani, perché oggi c'è lì Mattarella insieme ai vincitori. Nonostante l'Italia abbia perso la guerra voluta dal fascismo e anzi sia stata la prima nazione della storia costretta a firmare addirittura una resa incondizionata. Perché Alcide De Gasperi e i politici antifascisti che con lui andarono al governo seppero riconquistare dignità e rispetto alla nostra patria, mettendo là, sotto lo scudo protettivo del Patto Atlantico e difendendone l'integrità territoriale.
Mentre l'URSS voleva che cedesse Trieste alla Jugoslavia e l'Austria rivendicava l'Alto Adige. Meglio dunque non dimenticare perché, come diceva Primo Levi coloro che dimenticano il proprio passato sono condannati a riviverlo.