Procreazione assistita, la donna può chiedere l'impianto dell'embrione anche se il partner è deceduto o se è cessato il rapporto
Il Ministero della Salute ha pubblicato le linee guida contenenti le indicazioni sulla procreazione medicalmente assistita, in base a due sentenze della Corte di Cassazione (2019) e della Consulta (2023)
Il Ministero della Salute ha pubblicato le linee guida contenenti le indicazioni delle procedure e delle tecniche di procreazione medicalmente assistita, come richiesto dalla legge numero 40 del 2004 («Norme in materia
di procreazione medicalmente assistita»). Il decreto ministeriale è stato pubblicato in Gazzetta ufficiale. Dopo la fecondazione assistita dell'ovulo, il consenso alla Pma non può essere revocato e la donna può richiedere l'impianto dell'embrione anche se il partner è deceduto o se è cessato il loro rapporto, in base a due sentenze della Corte di Cassazione (2019) e della Consulta (2023). Le linee guida vengono aggiornate almeno ogni tre anni, «in rapporto all'evoluzione tecnico-scientifica».
«Si considera "infertile" la coppia che non è stata in grado di concepire dopo un anno di rapporti sessuali non protetti - si legge nelle nuove linee guida -. Si considera "sterile" l'individuo affetto da una condizione fisica permanente che non rende possibile il concepimento. [...] L'accesso alla procreazione medicalmente assistita (Pma), pertanto, è consentito a fronte dell'assenza di concepimento, oltre ai casi di patologia riconosciuta, dopo sei/dodici mesi - in base all'età della donna - di regolari rapporti sessuali non protetti».
«L'accesso alla Pma è esteso alle coppie fertili portatrici di malattie genetiche trasmissibili, nonché a coppie sierodiscordanti portatrici di patologie infettive, quali HIV, HBV, HCV, nelle quali l'elevato rischio di infezione configura di fatto una causa ostativa alla procreazione; a coppie in cui uno o entrambi i partner siano ricorsi in passato alla crioconservazione dei propri gameti o tessuto gonadico per preservazione della fertilità».
«Deve essere rappresentato che, dopo la fecondazione assistita dell'ovulo, il consenso alla Pma non può essere revocato e la donna può richiedere l'impianto dell'embrione anche se il partner sia deceduto (Cass., 15 maggio
2019, n. 13000) ovvero sia cessato il loro rapporto (Corte costituzionale, n. 161/2023)».
Nella sentenza n. 13000 del 15 maggio 2019, la Corte di Cassazione ha affermato che «in caso di nascita mediante tecniche di procreazione medicalmente assistita, l'art. 8 della legge n. 40 del 2004 sullo status del nato con Pma si applica anche all'ipotesi di fecondazione omologa post mortem avvenuta utilizzando il seme crioconservato del padre, deceduto prima della formazione dell'embrione, che in vita abbia prestato, congiuntamente alla moglie o alla convivente, il consenso, non successivamente revocato, all'accesso a tali tecniche e autorizzato la moglie o la convivente al detto utilizzo dopo la propria morte».
Nella sentenza n. 161 del 2023 la Corte Costituzionale ha dato ragione a una donna che aveva richiesto l’impianto dell’embrione crioconservato, nonostante nel frattempo fosse intervenuta la separazione dal coniuge. Questi si è opposto ritirando il consenso precedentemente prestato, ritenendo di non poter essere obbligato a diventare padre. Il giudice ha
quindi sollevato la questione di costituzionalità in riferimento alla irrevocabilità del consenso.
«Per "tecniche di Pma" si intendono tutti quei procedimenti che
comportano il trattamento di ovociti umani, di spermatozoi o embrioni
nell'ambito di un progetto finalizzato a realizzare una gravidanza - si legge ancora nelle linee guida ministeriali -. Questi procedimenti, che possono essere effettuati sia con gameti della coppia sia con gameti donati, includono: la inseminazione intrauterina; la fecondazione in vitro e il trasferimento intrauterino di embrioni; la microiniezione intracitoplasmatica dello spermatozoo; la crioconservazione dei gameti e degli embrioni; la biopsia embrionale per eseguire i test genetici di preimpianto».