Marco Manfrinati, l'avvocato che ha sfregiato l'ex moglie e ucciso il padre di lei: «La picchiava spesso»
Varese, indagato da due anni, aveva un divieto di avvicinamento alla donna e non poteva più incontrare suo figlio. Durante l'aggressione con il coltello ha inveito anche contro l'ex suocera

Lavinia Limido, aggredita dall'ex marito in strada; il padre intervenuto per difenderla è stato ucciso a coltellate
Il fascicolo contro Marco Manfrinati (in questo articolo il delitto a Varese: l'agguato alla ex, i pugni e le coltellate al viso, poi le uccide il padre accorso a difenderla) era stato aperto due anni fa per maltrattamenti all’ex moglie; in previsione del processo, si era autosospeso dall’Ordine degli avvocati: in precedenza ha maturato una lunga esperienza nelle cause di divorzio, sia nelle aule dei tribunali sia con la partecipazione a corsi di aggiornamento. Quello dell’assassino non è affatto un nome noto, nel circuito legale: ma due suoi colleghi sentiti dal Corriere, e che non vogliono comparire per non essere accostati alla tragedia temendo pessima pubblicità, confermano che per dubbi legati alle istanze di separazione, ecco, una telefonata la facevano. Trovando le risposte.
In Procura ci viene ripetuto che quell’indagine fu assai meticolosa, poggiando anche su un numero non piccolo di testimoni. L’urlo di ieri di Manfrinati contro l’ex suocera, la quale provava a chinarsi insieme sulla figlia e sul marito feriti, sintetizza l’odio contro chiunque fosse legato come parentela a Lavinia. I genitori, gli zii, i cugini: chiunque, per davvero. Era, e magari rimarrà convinzione di Manfrinati, che loro abbiano ordito una macchinazione per distruggerlo. «Questi mi vogliono togliere anche il respiro» ripeteva, a oltranza, ai sempre meno amici rimasti al suo fianco.
Lavinia l’aveva denunciato ma non subito, attendendo forse che passasse quello che credeva essere un momento transitorio sì difficile, di sbandamento, di esaurimento nervoso, ma appunto non eterno; poi, sospinta da mamma e papà, s’era finalmente convinta. L’esame dei magistrati aveva determinato il divieto di avvicinamento di Manfrinati all’ex compagna. Proprio per il pregresso di violenza e in aggiunta per un presente di pericoli legato ai timori di Lavinia che quello le si manifestasse d’improvviso davanti. La paura le aveva rivoluzionato l’esistenza, innescando perenni stati d’ansia, e obbligandola a precauzioni anche per il semplice viaggio verso il supermercato, il sabato pomeriggio.
L’iter giudiziario aveva, come azione fisiologica, azzerato le possibilità per Manfrinati di incontrare il figlio, che ha pochi anni. Le attività di ascolto della polizia andranno a ritroso, alla ricerca di comportamenti negli ultimi giorni: per esempio attività di pedinamento in preparazione di agguati. Come quello di lunedì. Nessuno delle eventuali persone «monitorate» da Manfrinati, che senza più un impiego, gravato da problemi di soldi, allo sbando completo, insonne, si dedicava in via esclusiva a pensieri di vendetta, aveva notato anomalie, altrimenti l’allarme alle forze dell’ordine sarebbe stato immediato. Cominciando da Lavinia, a catena un’intera famiglia era in perenne allerta.
Fra le priorità degli inquirenti c’è quella d’assicurare un monitoraggio in carcere per evitare il suicidio. Sarà compito degli psichiatri tratteggiare il quadro di Manfrinati: per quanto possa servire, viene veicolato il profilo di un abitudinario, un uomo spaventato dagli imprevisti e con un’alta, quantomeno esibita in pubblico, considerazione di sé.
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