«The Donald» e le sue mille vite: uomo d'affari e showman, candidato improbabile e poi presidente
L’uomo d’affari degli slalom tra piani regolatori e paletti legali, lo showman che licenziava in diretta tv e il candidato in cui nessuno credeva che divenne presidente
Il Boeing 757 bianco rosso e blu che plana in una città dopo l’altra, la folla raccolta intorno al palco — spesso c’è un pastore protestante a recitare una preghiera introduttiva — nell’attesa spasmodica dell’inizio dello show, dagli altoparlanti la voce dello speaker grida «Trump Force One» è atterrato e la musica della colonna sonora di «Top Gun» (ci sono anche Elvis Presley’ con «Suspicious Minds», Jerry Lee Lewis con «Great Balls of Fire», gli Who con «Pinball Wizard», Johnny Cash e Il fantasma dell’opera ma soprattuttro «God Bless the U.S.A.» di Lee Greenwood) prepara il popolo trumpiano all’arrivo della superstar.
Una vita spericolata, tra i grattacieli di new York e la Casa Bianca
Il primo presidente passato dal mondo degli affari a quello dello spettacolo saltando a piè pari quello della politica, una vita spericolata tra grattacieli di New York, show business, la Casa Bianca conquistata e perduta e il sogno di riconquistarla.
«Make America Great Again», «Licenzia Biden», «Ultra MAGA» sugli striscioni dei comizi, adunate a volte oceaniche a volte meno, ma sempre eccitatissime, con le quali Trump — la cui candidatura nel tardo 2015 fu accolta con ilarità dai presunti esperti della «Beltway», la tangenziale che circonda la capitale Washington — ha costruito il suo regno. Eventi nei quali il ritardo cronico della star non conta perché durano tutto il giorno, tra incontri di revival cristiano evangelico e festa di carnevale, i costumi, un’esperienza emotiva inestimabile per la sua base e perfetta cassa di risonanza per attirare nuovi sostenitori negli ambienti socioeconomici e etnici a lui più vicini (lo zoccolo duro fondamentale di Trump: i bianchi senza laurea, spesso di redditi medio-bassi).
Lo show itinerante, da Barnum a Trump
Nessuno dai tempi di PT Barnum (1810-1891) — inventore non soltanto dell’omonimo circo itinerante ma delle regole del moderno showbusiness — ha creato uno show itinerante paragonabile al suo perché la vita di Trump è stata, dai tempi della gioventù birichina negli anni ’70 dello Studio 54, uno spettacolo.
I palazzi clamorosi costruiti, prima di tutti la Trump Tower edificata proprio a fianco di Tiffany in uno dei punti più famosi della Quinta Avenue facendo lo slalom tra le bizantine norme del piano regolatore di Manhattan (golf a parte, lo slalom tra i piani regolatori è il suo sport della vita), il logo «Trump» appiccicato su casinò di Atlantic City e alberghi e campi da golf secondo le regole più collaudate del branding americano. Tutti sanno cosa troveranno in un McDonald’s, dall’Iowa al Giappone, tutti sanno cosa troveranno nello show trumpiano: gli arredi d’oro, le sue gigantografie, l’ethos da miliardario americano che ce l’ha fatta e si premia con il golf.
Tre mogli, molti flirt, nessun sentimento religioso
Tre mogli (due delle quali non americane, europee dell’Est), molti flirt, nessun segnale di sentimenti religiosi fino al 2016 quando diventa idolo degli evangelici: l’amore dell’America profonda e religiosa per questo newyorchese laico è materia per gli studiosi che analizzano, come Jennifer Mercieca della Texas A&M quello che il libro di testo Demagogue for President: The Rhetorical Genius of Donald Trump definisce per l’appunto il suo genio per la comunicazione, il rapporto quasi mistico, fideistico, che il suo popolo ha per lui.
Trump attore
Trump attore (comparsa di lusso) in film come Mamma ho perso l’aereo 2, in telefilm come I Jefferson, nei video musicali, aprendo la strada al suo ruolo principale nel reality The Apprentice, una gara tra candidati e aspiranti miliardari che lottano per conquistare un posto in una delle sue aziende. In questo modo, al di là delle avventure di business autentico spesso finite male (il casinò in bancarotta, le bistecche sfortunate, l’università chiusa con antipatici strascichi legali) ha costruito per un decennio televisivo, davanti al pubblico che poi lo voterà, l’immagine di leader decisionista che licenzia i reprobi e alla fine premia qualcuno, con criteri a volte imperscrutabili. Da leader, insomma, mettendo a punto davanti allo specchio il broncio da bulldog reso famoso da Winston Churchill e che usa con profitto in politica dalla campagna 2016.
La campagna nella quale, è utile ricordarlo oggi, tenne ben 323 comizi, 186 per le primarie e 137 per le elezioni generali con una partecipazione totale di circa 1,4 milioni di persone (almeno 790mila durante le primarie e 650mila per le elezioni generali).
Trump ha aumentato il numero degli show elettorali
Qualche settimana fa dal villone di Mar-a-Lago in Florida, Justin Caporale vice responsabile della campagna per le operazioni sul campo, cioè i comizi, aveva spiegato che «essenzialmente produciamo concerti rock nell’arco di una settimana, e lo facciamo più volte al mese». Un tour di Taylor Swift con biglietti gratis (ma per avere il pass digitale bisogna iscriversi via internet e consegnare i propri dati: telefono, e-mail, codice postale).
La campagna per la rielezione di Biden ha in gran parte aggirato le grandi manifestazioni a vantaggio di incontri più piccoli con gli elettori — in luoghi tradizionali come chiese e sedi sindacali — mentre Trump ha aumentato di recente il numero degli show.