Thomas L. Friedman: “Dentro il conflitto ci sono tre guerre, il vero nemico è l’Iran alleato dei russi”
Il motivo per cui per i profani è difficile comprendere le cause della guerra tra Hamas e Israele è che si stanno combattendo tre guerre contemporaneamente: una tra gli ebrei israeliani e i palestinesi, esacerbata da un’organizzazione terroristica; una all’interno della società israeliana e della società palestinese riguardo al futuro; e una tra l’Iran e i suoi emissari da una parte e l’America e i suoi alleati dall’altra.
Prima di approfondire queste guerre, il punto più importante da tenere presente è questo: esiste un’unica formula che può incrementare al massimo le possibilità per le forze della rispettabilità di prevalere in tutte e tre. Si tratta della formula che, secondo me, sta promuovendo il presidente Biden, anche se per il momento non può articolarla pubblicamente nella sua interezza – e che dovremmo promuovere tutti quanti insieme a lui. Dovremmo volere tutti la sconfitta di Hamas, che quanti più civili possibili di Gaza siano risparmiati, che il Primo ministro di Israele Benjamin Netanyahu e i suoi alleati estremisti siano cacciati via, che tutti gli ostaggi siano restituiti alle famiglie, che si eserciti la deterrenza nei confronti dell’Iran e che l’Autorità Nazionale Palestinese in Cisgiordania sia rafforzata in partenariato con gli Stati arabi moderati.
Attenzione all’ultimo punto: un’Autorità Palestinese riformata è la chiave di volta per far sì che le forze della moderazione, della coesistenza e della rispettabilità trionfino in tutte e tre le guerre. È la chiave di volta per ripristinare la soluzione dei Due Stati. È la chiave di volta per creare solide fondamenta per normalizzare le relazioni tra Israele e Arabia Saudita e il grande mondo arabo musulmano. Ed è la chiave di volta per creare un’alleanza tra Israele, arabi moderati, Stati Uniti e Nato, tale da indebolire l’Iran e i suoi emissari Hamas, Hezbollah e Houthi.
Purtroppo, come ha riferito martedì scorso Amos Harel, corrispondente militare di Haaretz, Netanyahu «è frenato dall’estrema destra e dai coloni che stanno combattendo una guerra senza esclusione di colpi contro l’idea di un coinvolgimento qualsiasi dell’Autorità Palestinese a Gaza, perlopiù nel timore che Stati Uniti e Arabia Saudita sfruttino questa mossa per riavviare l’iter politico e premere per la soluzione dei Due Stati, in modo tale da obbligare Israele a fare concessioni in Cisgiordania».
Se Netanyahu è prigioniero della sua destra politica, Biden deve stare molto attento a non diventare prigioniero di Bibi. Non c’è possibilità alcuna di vincere queste tre guerre contemporaneamente.
La prima è la più scontata delle tre guerre. È l’ultimo round della secolare lotta tra due popoli indigeni – ebrei e palestinesi – per la medesima terra. In quest’ultimo confronto, tuttavia, c’è un colpo di scena: questa volta il fronte palestinese non è guidato dall’Autorità Palestinese, che da Oslo in poi si era impegnata a raggiungere la soluzione dei due Stati rispettando i confini esistenti prima della guerra del 1967. Questa volta il fronte palestinese è guidato da Hamas, un’organizzazione militante islamista votata all’annientamento totale di qualsiasi Stato ebraico.
Il 7 ottobre, Hamas ha intrapreso una guerra di annientamento. Le uniche carte geografiche di cui si è avvalsa non sono state quelle della soluzione dei due Stati, ma quelle necessarie a individuare i kibbutz israeliani e a uccidere o rapire il maggior numero di abitanti.
Se non nutro dubbi sul fatto che mettere fine al regime di Hamas a Gaza – una cosa per cui parteggia in sordina ogni regime arabo sunnita, a eccezione di quello qatariota – è indispensabile per offrire sia agli abitanti di Gaza sia agli israeliani la speranza di un futuro migliore, l’intero sforzo bellico di Israele sarà delegittimato e diventerà insostenibile a meno che Israele non lo porti avanti con un’attenzione di gran lunga maggiore per i civili palestinesi. L’invasione di Hamas e l’affrettata contro-invasione israeliana stanno provocando a Gaza un disastro umanitario che non fa altro che sottolineare quanto Israele abbia bisogno di un partner palestinese valido che dia una mano a governare Gaza quando tutto sarà finito.
La seconda guerra, strettamente collegata alla prima, è quella all’interno della società palestinese e della società israeliana per le rispettive visioni a lungo termine.
Hamas sostiene che questa è una guerra etnico-religiosa perlopiù tra palestinesi musulmani ed ebrei, la cui finalità è la creazione di uno Stato islamico in tutta la Palestina, dal fiume Giordano al Mar Mediterraneo. Per Hamas, il vincitore si prenderà tutto.
Sul versante israeliano c’è una versione speculare delle opinioni estremiste di Hamas. I coloni suprematisti ebrei rappresentati nel gabinetto di Netanyahu non distinguono tra palestinesi che hanno abbracciato gli Accordi di Oslo e palestinesi che hanno abbracciato Hamas: li considerano tutti discendenti odierni degli amaleciti, tribù di nomadi del deserto citate spesso nella Bibbia, che si stabilirono nell’odierno Negev, vicino alla Striscia di Gaza, e vissero di saccheggi.
Forse non dovrebbe stupire, quindi, che alcuni coloni ebrei non riescano a smettere di pensare alla ricostruzione degli insediamenti a Gaza. Sognano il Grande Israele, dal fiume al mare. Per formare il suo governo, Netanyahu ha abbracciato questi partiti di ultradestra e la loro agenda, e adesso non può estrometterli rischiando di perdere parte del potere.
In ognuna delle due comunità, comunque, ci sono anche coloro che considerano questa guerra un capitolo della lotta politica tra due Stati-nazione, uno per ogni popolo. Costoro immaginano una spartizione del territorio in uno Stato palestinese con musulmani e cristiani – e perfino ebrei – in Cisgiordania, Gaza e Gerusalemme Est, che coesiste pacificamente accanto a uno Stato israeliano con il suo mix di cittadini ebrei, arabi e drusi.
Al momento, in entrambe le comunità i sostenitori dei due Stati sono sulla difensiva nella battaglia contro i sostenitori di un unico Stato. Qualsiasi soluzione futura con due Stati sarà impraticabile senza un’Autorità Palestinese affidabile e legittima di cui Israele possa fidarsi per amministrare la Gaza post-Hamas e la Cisgiordania. Ciò richiede non soltanto l’assenso degli israeliani, ma anche che i palestinesi siano disposti a collaborare. Ne saranno capaci?
In caso contrario, vincere la terza guerra sarà impossibile. La terza è la guerra che mi spaventa più di ogni altra.
Mi riferisco alla guerra tra l’Iran e i suoi emissari – Hamas, Hezbollah, Houthi e milizie sciite in Iraq – contro America, Israele e Stati arabi moderati quali Egitto, Arabia Saudita, Giordania, Emirati Arabi Uniti e Bahrain.
Non è soltanto una guerra per l’egemonia, il potere puro e le risorse energetiche: è anche una guerra di valori. Israele, al suo meglio, e l’America, al suo meglio, promuovono i concetti occidentali di empowerment femminile, democrazia multietnica, pluralismo, tolleranza religiosa e legalità – tutti valori che singolarmente e nel complesso costituiscono una minaccia diretta per la misogina teocrazia islamica dell’Iran, che dimostra di giorno in giorno la sua spietata volontà di incarcerare o addirittura uccidere le iraniane che non si coprono adeguatamente i capelli.
Anche se gli alleati arabi di America e Israele non sono democrazie – e non aspirano a esserlo –, tutti i loro leader hanno intrapreso un allontanamento dal vecchio modello di legittimazione tramite la resistenza – a Israele, all’America, all’Iran e agli sciiti supportati da quest’ultimo – e si sono orientati verso un nuovo modello di legittimazione improntato a rendere resilienti i rispettivi popoli (con l’istruzione, le competenze e una crescente consapevolezza ambientale), così che possano realizzare il loro pieno potenziale.
Questa non è l’agenda dell’Iran. La dimensione del potere assoluto concerne chi avrà egemonia nella regione: l’Iran sciita, collegato alla Russia e che esercita la sua influenza su Iraq, Siria, Libano e Yemen, o l’Arabia Saudita governata da arabi sunniti in tacita alleanza con Bahrain, Emirati Arabi, Giordania, Egitto e Israele e tutti gli Stati appoggiati dall’America. In questa terza guerra, l’Iran si ripromette di cacciare dal Medio Oriente gli Stati Uniti, distruggere Israele e intimidire gli alleati arabi sunniti dell’America, piegandoli alla sua volontà.
La terza guerra ha iniziato ad aggravarsi il 14 settembre 2019, quando l’Iran lanciò un attacco audace e immotivato con droni contro due importanti impianti di Saudi Aramco per la lavorazione del greggio ad Abqaiq e Khurais. L’Amministrazione Trump non fece niente. Trump disse: «Si tratta di un attacco all’Arabia Saudita, non a noi». Il 17 gennaio 2022, le milizie Houthi yemenite alleate a Teheran hanno attaccato gli Emirati Arabi Uniti con missili e droni. Anche in quel caso non c’è stata reazione da parte degli Stati Uniti. Non dovrebbe sorprendere, quindi, che il 7 ottobre Hamas abbia osato lanciare i suoi attacchi omicidi contro il confine occidentale di Israele. Io credo che la morsa che il regime clericale iraniano, nemico giurato degli ebrei, sta stringendo attorno a Israele sia una minaccia esistenziale. Se l’Iran la farà franca, il suo desiderio di annientare qualsiasi avversario non farà che aumentare. Israele può sostenere una dura guerra, ed è in grado di colpire in profondità l’Iran, ma ha bisogno di alleati: Usa, Nato e Stati arabi moderati. Questi, a loro volta, hanno bisogno di Israele. La chiave di volta per vincere tutte e tre le guerre è che l’Autorità Palestinese sia in grado di sostituire Hamas a Gaza e di essere un partner attivo e affidabile per una soluzione a due Stati. Israele e gli Stati Uniti che lo appoggiano non potranno creare un’alleanza sostenibile regionale post-Hamas o stabilizzare permanentemente Gaza fino a quando Netanyahu continuerà a essere Primo ministro di Israele.
Traduzione di Anna Bissanti