Banche, prove di terzo polo: Mps, Unicredit e le polizze. Con Generali e Unipol un gruppo europeo

Mps, il Tesore rompe gli indugi e vende un altro 12,5%

L’entrata della sede del Monte dei Paschi a Rocca Salimbeni, nel centro di Siena

La vendita sul mercato del 12,5 per cento del Monte dei Paschi di Siena lo scorso 26 marzooperazione che L’Economia del Corriere della Sera aveva anticipato su queste pagine nell’edizione del 4 marzo – accelera l’uscita definitiva del governo italiano dal capitale della banca senese. Lo straordinario lavoro compiuto da Luigi Lovaglio in meno di due anni ha cambiato volto e direzione al Monte, che per quasi tre lustri ha vestito i panni della pecora nera del sistema creditizio italiano.
La vendita del 12,5 per cento del capitale ha fruttato 650 milioni di euro, che si aggiungono ai 920 milioni incassati il 23 novembre 2023, quando sul mercato finì il 25 per cento del capitale. La somma dei due importi (1,57 miliardi) avvicina la cifra investita a ottobre 2022 dal governo italiano nell’aumento di capitale da 2,5 miliardi che salvò la banca (1,605). Ma va considerato che nel portafoglio del Dipartimento del Tesoro resta ancora il 26,73 per cento del capitale, che ai prezzi di Borsa di venerdì scorso vale circa 1,408 miliardi. Il concetto è importante. In molti hanno creduto che il blitz dello scorso novembre fosse un’occasione da cogliere per vendere a prezzi elevati. Le cronache recenti dimostrano invece che da novembre il titolo Mps è cresciuto ancora, passando da 2,8 euro a 4,1 euro. Oggi oltre il 70 per cento del capitale del Monte dei Paschi è sul mercato. In mano a piccoli risparmiatori, ma soprattutto a grandi società di investimento e a investitori istituzionali. E questa quota è destinata ad aumentare, perché come ha detto il ministro Giancarlo Giorgetti, più o meno ci siamo, autorizzando così a ipotizzare una ulteriore prossima limatura della quota in mano pubblica.

Vendite

Il Mef scenderà sotto il venti per cento del Monte, ma non lo farà subito. Per novanta giorni c’è un impegno a non vendere ulteriori quote e con il perfezionamento dell’operazione avvenuto il 2 aprile, arriviamo a luglio. Ben prima, l’8 e 9 giugno, ci saranno le elezioni europee e se le regionali hanno portato tanto sconquasso nei palazzi della politica italiana è legittimo attendersi di più, vista la posta in palio. Questo per dire che la forza della Lega, alla cui area sembra essere stato avvicinato il Monte, andrà verificata alla luce dell’apertura delle urne, anche se l’ultima parola rimarrà al Capo del governo. Ugualmente non si potranno ignorare gli impegni presi con l’Europa, che prevedono la totale uscita dello stato dal capitale del Monte.

Assetto proprietario

Una ulteriore vendita è così nella logica delle cose e non avrebbe senso ipotizzare, in questo caso, una golden, silvered o bronzed power. Quel che è certo è che la modalità futura di uscita dal capitale determinerà l’assetto proprietario della banca e dell’intero sistema creditizio nazionale. Proprio le elezioni europee potrebbero far alzare lo sguardo ai big player del mercato, in un’ottica di creazione di valore, col fine di allestire un competitor di dimensioni continentali. Partendo, pensate un po’, proprio dall’ex derelitto Monte dei Paschi.
Da mesi sono tre i player che vengono indicati come possibili catalizzatori di energie: Bper, Banco Bpm e Unicredit. Il Banco Bpm si è sempre chiamato fuori ed è legittimo rispettare la sua vocazione ad un futuro stand alone. Anche Ubi, negli anni scorsi, ha a lungo rivendicato il proprio diritto a un futuro solitario, salvo poi trovarsi, una mattina, sul lato degli acquisiti anziché degli acquirenti. Bper, che ha nel capitale la forza finanziaria del gruppo assicurativo Unipol, socio importante anche della Popolare di Sondrio, si appresta a rinnovare il board e da più parti è indicata come possibile play maker, anche se fin qui l’interesse della compagnia nei confronti delle reti bancarie è stato fin qui industriale, per completare la catena distributiva dei propri prodotti. Ma il futuro potrebbe essere diverso e un gruppo forte nella banca-assicurazione oggi in Italia non c’è. Ce ne sono in Francia e altrove, ma in Italia i due mestieri sono sempre stati separati, mentre le opportunità di offerta alla clientela di prodotti bancari e assicurativi assieme merita di essere esplorata, specie alla luce delle crescenti esigenze della clientela in tema di protezione, sanità e previdenza.

La partita

Nei mesi scorsi si era parlato di un possibile polo che unisse Unicredit e Generali. Unipol potrebbe pensare lo stesso. La partita si sta preparando in queste settimane e si giocherà, probabilmente, nella seconda metà dell’anno, dopo la prossima vendita del Mef. Un ruolo chiave sarà giocato da Unicredit. Il gruppo guidato da Andrea Orcel è centrale nel ridisegno del sistema nazionale del credito. Le recenti affermazioni confermano l’interesse, un tempo quasi risolutamente negato, per operazioni su linee esterne. L’attività di Orcel, che venerdì prossimo, 12 aprile, verrà con ogni probabilità confermato alla guida del gruppo per il prossimo triennio in occasione della assemblea dei soci, ha prodotto un accumulo di 13 miliardi di euro di capitale che consente ad Unicredit di acquisire il controllo di uno qualsiasi dei player bancari italiani senza intaccare i parametri di solidità richiesti dai regolatori. È un punto da considerare. Sia che si guardi a reti di sportelli che ad operatori di asset management. Di certo, visti i precedenti, il Mef non venderà a Unicredit le sue azioni di Mps, ma con il 70 e più per cento sul mercato le occasioni d’acquisto da venditori diversi non mancano. Unire la rete bancaria, magari rinforzata, ad un forte partner assicurativo darebbe all’operazione un allure continentale di cui in Italia si sente la mancanza, vista la progressiva scomparsa della grande industria. Si pensa a Generali e a Unipol, ma Unicredit ha un accordo industriale con i tedeschi di Allianz, che controllano anche il 4,14 del capitale della banca.

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